giovedì, 16 Gennaio 2025
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FERRIERA: LA REGIONE E’ LATITANTE NELL’ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI

Nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) della Ferriera c’è scritto a chiare lettere che per gli anni successivi al 2016 “i valori obiettivo … sono verificati e aggiornati”. Oggi in Aula l’assessore Vito ha trasformato il verbo “essere” con il più ipotetico “possono essere”, cercando come sempre di confondere le acque. Caro assessore, in base all’allegato B del Decreto Aia i valori di emissione non “possono” ma “devono” essere verificati e aggiornati. Resta purtroppo la sostanza: da sei mesi la Regione è latitante nell’esercizio delle proprie funzioni. 

L’Aia aveva fissato – in via provvisoria per l’anno 2016 – valori obiettivo per le PM10 di 70 microg/mc (per la stazione di S. Lorenzo in Selva, media sulle 24 ore) da non superare più di 35 volte nei 12 mesi precedenti, per il BaP un valore pari a 1 ng/m3 come media sui 12 mesi precedenti, per il monitoraggio delle deposizioni al perimetro di stabilimento: veniva posto presso la Portineria Operai e Palazzina Qualità un valore obiettivo su base mensile di polverosità minori di 500 mg/mq/giorno, stabilendo per le altre stazioni della rete deposimetrica un obiettivo su base mensile di polverosità <250 mg/m2/giorno e un obiettivo di polverosità <140 mg/m2/giorno come media sui 12 mesi precedenti, richiedendo, “per gli anni successivi al 2016, nello spirito del continuo miglioramento delle performance ambientali che deve essere perseguito, i valori obiettivo … sono verificati e aggiornati”. Prescrizioni che presuppongono che i valori obiettivo non possano rimanere gli stessi. Invece, ad oggi, gli sforamenti vengono ancora calcolati con i parametri del 2016.

Intanto la Ferriera di Trieste continua a essere protagonista di fenomeni gravi: “fumate nere” e sollevamento di polveri dai depositi minerali dello stabilimento (l’ultimo domenica 25 giugno) che invadono la città di TriesteDa pochi giorni la Regione ha chiesto alla Ferriera di ridurre la produzione perché i valori di emissione sono troppo alti, ma questa valutazione è legata ai valori del 2016. Con l’aggiornamento richiesto dall’Aia saremmo infatti in presenza di sforamenti ancora più elevati. Oggi con una interrogazione abbiamo chiesto alla giunta Serracchiani di dire quando saranno aggiornati questi valori. Ovviamente l’assessore Vito ha parlato d’altro, non rispondendo alla nostra domanda

TERRITORIO: IN FVG IL CONSUMO DEL SUOLO E’ FISSO DA ANNI AL 9% DELLA SUPERFICIE COMPLESSIVA

Sul consumo di suolo nella nostra regione l’assessore Santoro non dice tutto. La legge voluta dalla giunta Serracchiani, infatti, non può aver prodotto un risultato positivo come attesto dallo stesso Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Analizzando questo provvedimento legislativo, Ispra conferma che si tratti di una norma – in teoria – più stringente ma che – nella sostanza – consente la distruzione di nuovo territorio del Friuli Venezia Giulia.

Ricordiamo soprattutto all’assessore Santoro che l’Istituto è “un ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile, sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”. Ecco allora le testuali parole dell’Istituto in merito al consumo di suolo nella nostra regione:

“Osservando le tendenze, se da un lato i dati sulla variazione regionale annuale 2015-2016 mostrano che, almeno nell’ultimo anno, il consumo pro capite è stato tra i valori più bassi regionali – dall’altro lato la perdita complessiva di circa 49 ettari, di cui 30 ettari nella sola provincia di Udine, indica che in Fvg si continua a consumare suolo, nonostante la popolazione sia praticamente stabile. Inoltre, l’analisi per zona altimetrica della carta del consumo di suolo 2016, mostra che il 61% delle aree consumate si è localizzato in pianura e il 27% nella fascia collinare, che sono le zone più vocate per l’agricoltura”.

Di fronte a queste affermazioni, parlare di un Friuli Venezia Giulia “in positiva controtendenza” come fa l’assessore Santoro, ci pare francamente una presa in giro.

Ispra dà un giudizio tutt’altro che lusinghiero. Secondo l’Istituto “se da un lato questa normativa introduce condizioni più stringenti da dimostrare e documentare nel caso in cui i piani e le varianti prevedano nuove zone industriali e commerciali, dall’altro tali condizioni sono rivolte all’ulteriore fabbisogno insediativo rispetto a quello già previsto negli strumenti urbanistici, facendo salve le previsioni non attuate degli strumenti urbanistici vigenti”.

Forse l’assessore Santoro dovrebbe leggere con maggiore attenzione il rapporto sul consumo del suolo realizzato dall’Ispra. A leggere le sue affermazioni sembra infatti di vivere in un’isola felice, in cui c’è spazio per tutto e tutti e soprattutto, dove si registra un’inversione di tendenza rispetto al resto d’Italia in merito al consumo di nuovo suolo inedificato, ciò grazie ai provvedimenti normativi del 2015 e ai contributi per il riuso di immobili abbandonati nei centri storici.

Guardare chi sta messo peggio di noi e vantarsi della situazione leggermente migliore in cui versa il nostro territorio non è un’argomentazione che può essere condivisa, anche perché l’assessore dovrebbe tener conto di parametri quali la superficie complessiva delle aree e il rapporto con i cittadini e le attività economiche residenti. Nella stima del consumo di suolo a livello regionale effettuata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) la percentuale in relazione alla superficie territoriale (che ovviamente comprende anche le zone montane e la laguna come si vede in modo nitido nella tabella allegata), fornisce valori non certo tranquillizzanti e piuttosto costanti, anzi, in lievissima crescita (nel 2015 infatti la percentuale era del 8,90%, nel 2016 del 8,91%), ponendo la nostra Regione sopra la media nazionale dell’8%, assieme proprio a Lombardia, Veneto, Campania ed Emilia Romagna, territori che ci precedono in questa triste classifica.

Il dato comunicato dall’assessore regionale si riferisce unicamente alla percentuale di incremento di consumo di suolo registrato tra il 2015 e il 2016 (per cui la media nazionale è dello 0,2% e quella del Friuli Venezia Giulia è dello 0,07%). La matematica non è un’opinione, il consumo di suolo annuale in Regione è costante con valori che arrivano quasi al 9% rispetto alla superficie territoriale complessiva. Non per vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma leggere questi dati come un successo e concreto risultato verso il raggiungimento dell’obiettivo del consumo zero di suolo nel 2050 assume valenza meramente pubblicitaria.

Stiamo parlando quindi di marketing territoriale di un territorio che non c’è più.

Lo stesso può dirsi per il successo delle politiche contributive attuate dalla giunta Serracchiani che, come precisato dall’assessore tecnico, hanno portato al recupero di ben 745 alloggi in 191 Comuni della Regione (cioè una media di 4 alloggi per Comune) alla modica cifra di 31 milioni di euro (62 miliardi del vecchio conio!), misure pensate da ricchi per i ricchi, ma non certo destinate alla maggioranza dei cittadini (e i numeri purtroppo lo dimostrano).

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISORSE AGRICOLE, FORESTALI E ITTICHE E DI ATTIVITÀ VENATORIA – RELAZIONE DEL M5S

Presidente, Consigliere, Consiglieri,

Prima di entrare nel merito del provvedimento, lasciatemi dire che il titolo di questa legge non ne rappresenta il contenuto. Sarò molto chiara: questa legge dovrebbe essere rubricata “Minime disposizioni in materia di risorse agricole, forestali e ittiche, e massiccia riforma dell’attività venatoria”.

Sui temi delle risorse agricole, forestali e ittiche infatti, quelle presentate in questa legge sono mere norme di manutenzione: testimonianza ne è anche il fatto che sono state presentate davvero poche osservazioni da parte dei portatori di interesse intervenuti alle audizioni. In realtà, le osservazioni presentate riguardavano per lo più il Capo I del Titolo I, stralciato dallo stesso assessore proponente con riserva di presentazione nel prossimo assestamento di bilancio a luglio.

Per il resto le norme in materia di agricoltura sono interventi di carattere finanziario che ben potevano essere presentati in sede di assestamento di bilancio, ma così facendo non si sarebbe potuta introdurre la mini rivoluzione lampo e oltretutto davanti ad una Commissione consiliare diversa.

Sui temi della caccia infatti, gli interventi sono molto più corposi e invasivi. Come detto in occasione della discussione sul ddl 218 in commissione, pur comprendendo le ragioni manutentive dell’ordinamento e il recepimento di norme sovraordinate, si assiste per l’ennesima volta ad una soluzione tampone, non organica e non sistematica che sicuramente porterà nuovi problemi anziché risolvere quelli attuali o quantomeno semplificare la vita di cittadini e operatori.

La ragione principale di approvare questa norma era, a detta dell’assessore, quella di sanare la sentenza della corte costituzionale n°165 del 2009. Ma ovviamente, come naturale visto che è prerogativa dei consiglieri regionali proporre emendamenti, sono arrivati e passati degli emendamenti che nulla hanno a che fare con la sentenza della Consulta; si tratta di emendamenti atti ad ampliare ancora di più l’autonomia dei cacciatori e a depotenziare i già esigui compiti di pianificazione, controllo e vigilanza della Regione a tutela del patrimonio pubblico “fauna selvatica”.

Come detto in commissione, riteniamo che questo non sia il modo giusto di lavorare e siamo quasi certi che ampie porzioni di questa norma saranno oggetto di impugnazioni e di interventi della Corte Costituzionale. Riteniamo un paradosso il voler modificare una norma con il dichiarato intento di sanare gli obblighi derivanti da una sentenza di incostituzionalità per far passare alcune modifiche che rendono la novella stessa incostituzionale. Ribadiamo ancora che, a nostro avviso, compito dell’amministrazione regionale deve essere quello di far sedere al tavolo gli attori coinvolti – corpo forestale, cacciatori, associazioni ambientaliste, uffici che si occupano di tematiche di protezione della fauna, di biodiversità e di attività venatoria, consiglieri regionali – affinché attraverso un comitato ristretto o una sottocommissione senza pregiudizi e preclusioni mettano in campo una vera riforma organica su questa materia.

Non secondario, si ribadisce che la competenza sulla caccia è in capo alla IV Commissione, non alla II, che quindi si è trovata a lavorare su una materia non di sua competenza.

Analizzando quindi l’intervento residuale sulle risorse agricole è possibile evidenziare i seguenti aspetti:
 -ritardi di Agea, l’emendamento presentato dalla Giunta prevede che – in analogia a quanto previsto dalla legge – ai GAL vengano anticipate risorse per il pagamento della misura 19.1 del PSR. In difformità a quanto avviene per i privati invece, ai Gal non viene richiesto che la restituzione avvenga comunque entro il 31 12 2017. Questo significa che non ci fidiamo del fatto che Agea possa pagare per questa misura entro la fine dell’anno? In Commissione abbiamo ottenuto rassicurazioni sul fatto che l’ente pagatore dovrebbe iniziare l’erogazione dei fondi ai privati agricoltori della nostra Regione in questi giorni ed entro la fine di luglio dovrebbe porre fine ai cronici ritardi con cui sono state pagate le misure. Ma il fatto che per i Gal non sia prevista la restituzione di questi fondi entro l’anno, ci porta a pensare che dei ritardi di Agea torneremo a parlare da qui a pochi mesi.
 -l’articolo 21 modifica la legge regionale 25/1996 e disciplina che nel caso degli agriturismi il vincolo di destinazione sia portato da 10 a 5 anni. Una simile misura viene presa anche per il vincolo di destinazione d’uso dei beni immobili oggetti di investimento finanziati da alcune misure del PSR. Va qui ricordata la scelta della Giunta di abbassare i vincoli da 5 a 3 anni per le imprese artigiane e industriali beneficiarie di contributi regionali introdotto anche con la Legge Rilancimpresa 3/2015. La disparità di visione è evidente. Un Agriturismo e un’impresa agricola devono mantenere la destinazione per 5 anni (e pur capendo la ratio dell’abbassamento del vincolo rimangono alcune perplessità sulla scelta), mentre un’industria o un’impresa artigiana dopo 3 anni può delocalizzare pur avendo beneficiato degli incentivi e dei contributi regionali. Una cosa assurda se pensiamo che nel secondo caso ci sono in gioco la vita di migliaia di persone.

Entrando nel merito del vero oggetto del ddl – le norme sulla caccia, come detto – riteniamo che siano inaccettabili le norme che ampliano l’attività, le competenze e gli interventi dei cacciatori senza una revisione organica del sistema vigente. Nel dettaglio:

¾ Gli articoli 58-66 prevedono la concessione di contributi per la realizzazione di centri di lavorazione della selvaggina. L’obiettivo nobile di queste norme è quella di contrastare il bracconaggio – attività illecita che purtroppo viene ampiamente praticata anche nella nostra regione – dando la possibilità ai cacciatori di commercializzare la carne degli animali che abbattono in maniera sicura e controllata. Condividiamo appieno l’obiettivo: ricordo che nel 2015 abbiamo presentato la mozione n. 152 chiedendo alla Giunta regionale di impegnarsi su due fronti: da una parte, chiedevamo di attuare con urgenza quanto previsto dalle norme regionali e dai regolamenti comunitari in materia di monitoraggio sanitario, lavorazione e controllo delle carni di selvaggina; dall’altra chiedevamo di aumentare la vigilanza sul bracconaggio e sulla commercializzazione illecita di carni di selvaggina. Ciò che non ci convince per nulla della proposta in discussione sono le modalità di attuazione del contrasto al bracconaggio – attraverso la concessione di risorse pubbliche a investitori privati. Crediamo che il numero di cacciatori che si rivolgeranno a questi macelli sarà certamente basso per almeno due motivi: di certo le lavorazioni dei capi portati dai cacciatori stessi a ditte private non saranno a costi contenuti, e resta irrisolto il problema di coprire le distanze tra il luogo dell’abbattimento e il macello stesso.
¾ L’articolo 70 che si occupa di fauna selvatica migratoria, con l’approvazione in commissione dell’emendamento 67ante1, consente di uccidere fino a 25 colombacci per giornata di caccia. L’emendamento modifica il calendario venatorio: ciò – e siamo sicuri ne siate perfettamente consapevoli – costituisce un fatto estremamente importante e sarà molto probabilmente oggetto di ricorso da parte dello Stato. Non serve ricordare che la Corte Costituzionale si è infatti già espressa più volte – anche nei confronti di regioni a statuto speciale – sancendo l’obbligatorietà del parere dell’ISPRA sugli atti di pianificazione venatoria e l’illegittimità dell’utilizzo dello strumento “legge” in luogo dell’atto amministrativo per l’articolazione dei calendari venatori.
¾ L’articolo 75 inserisce la previsione che il Piano Faunistico Regionale (PFR) possa essere modificato in alcune parti attraverso una delibera di Giunta Regionale per – così di dice – rendere il PFR più dinamico ed adattabile al contesto del momento. Che cosa di deduce dal fatto che la Giunta rimoduli i PFR? Che i Piani Venatori Distrettuali o addirittura gli atti di pianificazione delle Riserve di caccia approvati non rispecchiano le previsioni del PFR e dunque si ricorre a questa modifica per sanare la situazione? Speriamo di no. In ogni caso, pare del tutto illegittimo prevedere che una semplice delibera della Giunta possa modificare un atto soggetto a Valutazione Ambientale Strategica, Valutazione di Incidenza Ambientale e parere obbligatorio dell’ISPRA.
¾ L’articolo 76 inserisce ex novo la previsione di pagare i danni prodotti dalla specie “sciacallo dorato” utilizzando il fondo dedicato ai grandi carnivori. Si tratta di una misura finalizzata a proteggere la specie – inserita dalla L. 157/92 tra quelle a particolare protezione – da possibili atti di bracconaggio da parte di soggetti che subiscono predazioni.
L’articolo 77 – introdotto in commissione con l’emendamento 70bis2 – prevede di dare la possibilità ai cacciatori di sopprimere gli ungulati feriti a seguito di incidente stradale. A nostro avviso, la formulazione dell’articolato introdotto lascia enormi dubbi di legittimità per almeno due motivi: il primo, la licenza di caccia consente al cacciatore l’utilizzo delle armi e l’impossessamento del patrimonio pubblico “fauna selvatica” solo ed esclusivamente in conformità ai principi della L. 157/92 e nelle modalità di tempo di luogo indicate dalla stessa norma. Nel caso in questione è evidente che quello che si vuole trattare non rientra in alcun modo nell’esercizio dell’attività venatoria. Si affidano al cacciatore valutazioni e funzioni tipiche del medico veterinario (“…qualora riportino lesioni tali da non poter essere riabilitati o rilasciati in natura …”) e addirittura dell’agente o ufficiale di pubblica sicurezza (“…e per motivazioni di pubblica sicurezza …). Il comma 7 quater introdotto vorrebbe poi che l’animale così abbattuto, pur non trattandosi evidentemente di legittimo atto di caccia, divenisse addirittura proprietà di una associazione privata, ossia della Riserva di Caccia in cui è avvenuto l’investimento. Quasi a significare che nel Friuli Venezia Giulia la fauna selvatica non sia come definita dalla Legge “patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della Comunità Nazionale ed Internazionale” ma bene disponibile di proprietà della riserva di caccia in cui si trova in quel momento. Il secondo, questa previsione è contraria a quanto contenuto all’interno della norma nazionale. L’Articolo 21 della norma nazionale mette ben in luce i comportamenti e le distanze alle quali si deve attenere un cacciatore, per non incorrere in violazioni del codice penale e civile. Le ricordiamo:
· Distanze dalle case: la caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E’ vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri;
· Distanze da strade e ferrovie: la caccia è vietata per una distanza di 50 metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle ferrovie. E’ vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150 metri;
· Distanze da mezzi agricoli. La caccia è vietata a una distanza inferiore di 100 metri da macchine agricole in funzione;
· Distanze da animali domestici. La caccia nei fondi con presenza di bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla mandria, dal gregge o dal branco.
· Disturbo delle persone: l’articolo 659 del codice penale “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” punisce chi con rumori molesti disturba le occupazioni o il riposo delle persone.
Spari nei pressi delle abitazioni;
· L’art. 703 del codice penale “Accensioni ed esplosioni pericolose” punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco.
Oltre che illegittima, riteniamo questa previsione altamente pericolosa, e – lo sottolineammo una volta ancora – non perché ce l’abbiamo con i cacciatori, ma perché è una previsione che mette in pericolo il cacciatore stesso. Se per nefasta casualità un proiettile dovesse rimbalzare e colpire accidentalmente il proprietario della macchina o qualcun altro, metterebbe il cacciatore nelle condizioni di dover rispondere penalmente dell’accaduto.
¾ Stesso discorso fatto per il PFR, vale anche per l’articolo 78 riguardante i PVD: abbiamo dato contributi regionali per fare la programmazione richiesta dalla legge regionale stessa e ora, prevedere la modifica di alcune parti con delibera di giunta, non ci fa che pensare che le previsioni contenute nei pvd, non siano coerenti con il piano faunistico. Il tutto, ovviamente, sempre senza il parere dell’unico organismo che dovrebbe dire qualcosa, l’ISPRA.
¾ L’articolo 73 introduce deroghe alle riserve di caccia per favorire l’abbattimento dei cinghiali. A nostro avviso, se effettivamente sussiste un problema di sovrappopolazione di cinghiale, deve essere l’amministrazione pubblica – il corpo forestale – a gestire il rilascio dei permessi in deroga e a coordinare gli interventi avvalendosi dei cacciatori formati, anche sostituendosi alle riserve. Per questo, abbiamo presentato un emendamento.
¾ L’ articolo 92- introdotto in commissione con l’emendamento 73bis1.1 – prevede la diminuzione dei controlli di correttezza dell’operato dei cacciatori da parte dell’organo che eroga le sanzioni, inserendo la previsione che il tesserino possa essere controllato solo durante l’attività venatoria. Assurdo, veramente assurdo che un ente pubblico titolare di un organo di vigilanza, quale il corpo forestale regionale, continui, ogni volta che gli si presenta la possibilità, a depotenziare il proprio organo. Il tesserino di caccia è uno degli atti con la quale il corpo forestale può attuare la vigilanza e inserire questa previsione, ci lascia veramente basiti e sconcertati!
¾ L’articolo 102 – introdotto con l’emendamento 77bis1 – prevede che si possano vendere fino a 5 ungulati (rispetto a un solo capo attualmente previsto) e fino a 100 capi di selvaggina di penna e/o lagomorfi. Assurdo anche questo perché tende a trasformare il cacciatore in una figura diversa: imprenditore/commerciante (Magari in nero..? Detto da chi dovrebbe fare norme per combattere l’evasione o prevenirla!). Non serviva nemmeno fare la norma sui macelli: facendo un rapido calcolo, se tutti i cacciatori utilizzassero questa nuova disposizione, dato che ci sono 8000 cacciatori in Friuli Venezia Giulia, potremmo avere la vendita fino a 40.000 capi.

Rimangono ancora in piedi alcune questioni, sollevate con degli emendamenti ritirati per essere ripresentati in aula, ma che meritano di essere ricordati in questa relazione:
– l’emendamento 48bis 1: Si tratta di una ennesima deroga che si vorrebbe introdurre. Viene cancellato l’iter autorizzativo per il transito fuoristrada dei mezzi dei cacciatori nei territori soggetti a vincolo idrogeologico, nelle aree protette oppure le strade di viabilità forestale, come ora avviene per i mezzi di soccorso, i disabili o per il raggiungimento del fondo da parte dei titolari. La cancellazione dell’autorizzazione elimina le possibilità di impartire limitazioni, prescrizioni o di diniego motivato da parte dell’ente locale. Oltre alla evidente sproporzione di questo diritto che viene dato al cacciatore rispetto ad altre categorie di cittadini, va ricordato al Consiglio Regionale che l’accesso ai mezzi fuoristrada delle aree agro-silvo-pastorali è una delle condizioni predisponenti del fenomeno del bracconaggio. E’ inoltre noto che le marmitte catalitiche possono facilmente incendiare l’erba secca. Tale nuova facoltà, unita all’evidente cambiamento climatico, probabilmente non è in linea con la tutela dell’ambiente e la prevenzione degli incendi boschivi.
– l’emendamento 67ante2: lo definiremmo delirante. In sostanza si concede sempre in deroga e sempre senza il parere dell’ISPRA, di ampliare il lasso di tempo (sia giorni che ore) per la caccia al cinghiale, cervo e capriolo. Per il cinghiale classe 0, 365 giorni all’anno da 2 ore prima del sorgere del sole a 4 ore dopo il tramonto (d’estate praticamente per quasi tutta la notte); per il capriolo da 2 ore prima del sorgere del sole a 2 ore dopo. In spregio a ogni regola di sicurezza, convivenza e di non disturbo della quiete pubblica, noncuranti dei rischi e dei danni (paura, agitazione, etc) che si procureranno alle stesse specie e anche ad altre specie animali che a quell’ora tendenzialmente o cacciano o dormono. Si ricorda al Consiglio Regionale che – come ribadito anche dalla Cassazione -l’utilizzo a caccia di fari, visori notturni o altri mezzi di intensificazione della luce costituisce violazione penale. Dunque, si vorrebbe far credere che è possibile effettuare in sicurezza e coerenza con la legge la caccia di selezione – che, ricordiamolo, implica la valutazione della specie, del sesso e dell’età – in piena oscurità?
Anche in questo caso abbiamo comunque motivo di credere che l’articolo, qualora approvato, sarà oggetto di impugnazione.
– L’emendamento 67bis1 sugli appostamenti “temporanei”, vorrebbe sostanzialmente renderli tutti definitivi e non soggetti ad alcuna pianificazione ed autorizzazione. Si tratta di una previsione palesemente illegittima, in quanto in contrasto con la definizione stessa di appostamento temporaneo, che non deve comportare “ alcuna modifica del sito” .

Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma credo che abbiamo riassunto le innovazioni più discutibili contenute in questa omnibus, se così volete ancora chiamarla. Questo non è un esempio di rettitudine, non è un esempio di buona gestione della cosa pubblica e non è un esempio di rispetto verso alcuni portatori di interesse e verso i cittadini di questa Regione. Una cosa grave affermata dall’assessore in aula, ovvero che 8000 persone influenzano il consiglio regionale, perché quelli sparano. Beh assessore, non credo sia un bel segnale da dare là fuori, a quella parte di cittadini, che chiedono regole più stringenti o quantomeno maggiore sicurezza per tutti (cacciatori compresi). Con questa legge, avete di certo proposto il peggio e speriamo che in aula, non si tocchi proprio il fondo.

P-PARK DI BEGLIANO: STOP DEL TAR AL RICORSO DI AEROPORTO FVG

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Accogliamo con favore la decisione presa dal Tribunale amministrativo regionale di giudicare irricevibile il ricorso presentato da Aeroporto Friuli Venezia Giulia Spa contro la creazione del P-Park di Begliano, realizzato dall’imprenditore Andrea Pella per i clienti dello scalo. Adesso ci auguriamo che Aeroporto Fvg non proceda ulteriormente al Consiglio di Stato.

È decisamente ridicolo ritenere che un piccolo imprenditore possa essere concorrente sleale di una società per azioni. Ricordiamo che stiamo parlando di un’attività che, a differenza del Polo intermodale, non ha consumato ulteriore suolo agricolo o alterato il paesaggio per essere realizzato, ma ha riqualificato una zona già compromessa. Questa attività porterà di certo valore aggiunto allo scalo di Ronchi dove – lo sanno tutti – la sosta è di gran lunga più onerosa. Invece di ricorrere al Tar, suggeriamo a chi amministra l’aeroporto di rivedere le politiche tariffarie dei servizi offerti dallo scalo, in modo da renderle più accessibili alla propria clientela, visto che la Regione Fvg, è il socio unico della società Aeroporto Fvg.

Nelle vicinanze di qualsiasi scalo nazionale o internazionale si possono trovare parcheggi “low cost”. Le motivazioni portate avanti da Aeroporto Fvg nascondono il desiderio di un regime di monopolio per la fornitura di questo servizio, che finora ha portato i cittadini a parcheggiare nella vicina zona industriale e recarsi a piedi all’aeroporto, con tutti i problemi di sicurezza che ciò ha comportato.

Ilaria Dal Zovo e Cristian Sergo

DRAGAGGI FIUME CORNO: GRAVISSIMO CHE GLI UFFICI REGIONALI CERCHINO DI CONDIZIONARE L’ATTIVITÀ POLITICA DEI CONSIGLIERI

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Stiamo per approvare una legge regionale che dovrebbe fare chiarezza sulle attività di manutenzione delle vie di navigazione, ovvero sui dragaggi. Si interviene per semplificare le procedure ed accelerarle, ma procedure semplificate e veloci sono già state abbondantemente utilizzate per la realizzazione dei lavori urgenti dei lavori di dragaggio del fiume Corno.

Per completare i lavori di dragaggio del fiume Corno sono servite, infatti, sei perizie di variante più lavori complementari affidati cinque mesi fa ma che ancora devono iniziare, nonostante l’affidamento diretto degli stessi alle medesime imprese. In Commissione avevamo già ricordato che la giunta Serracchiani aveva approvato la terza e la quarta perizia di variante dei cosiddetti “Lavori urgenti di dragaggio del fiume Corno”, realizzate da un professionista che, non secondo noi, ma secondo il Provveditorato dei lavori pubblici non aveva i titoli per firmare queste perizie. Di fronte alle nostre domande su questa anomalia, l’esecutivo regionale ha negato che questo rappresenti un problema, affermando che il professionista incaricato ha fatto un lavoro egregio, ma di fatto per gli ultimi atti ci si è avvalsi di un altro progettista e di un altro direttore dei lavori.

Nelle ultime ore si è poi superato il limite. Si è verificato un fatto grave mai accaduto prima da quando il MoVimento 5 Stelle siede fra i banchi del Consiglio regionale. Un funzionario della Regione ci ha chiesto di stralciare la parte della nostra relazione nella quale si parla dei dragaggi, senza essere in grado però di effettuare delle contestazioni specifiche. In realtà era impossibile muovere delle contestazioni plausibili visto che quanto riportato nel nostro documento non è altro che la cronistoria di quanto avvenuto. Richiesta, o meglio ingerenza, che ovviamente non abbiamo accettato.

BONIFICA GIARDINI CITTADINI INQUINATI: CONSEGNATA LA PETIZIONE

È stata consegnata questa mattina al presidente del Consiglio regionale Franco Iacop la petizione popolare sulla “Bonifica dei giardini cittadini inquinati, tramite fitorimedio”.

È giusto ringraziare i cittadini che stanno portando avanti questa iniziativa per il lavoro fatto e per lo sforzo continuo in favore della tutela della salute. Ora gli enti preposti devono spiegare a tutti i cittadini quali siano gli inquinanti rilevati, la loro concentrazione e le ipotesi formulate sui processi di trasporto e deposito degli stessi. Vogliamo soprattutto sapere quali siano le sorgenti di emissione e il loro contributo sul totale dell’inquinamento e se quest’ultime siano ancora attive.

La domanda alla quale le istituzioni devono dare una risposta è la seguente: ha senso fare le bonifiche senza prima eliminare le principali fonti di inquinamento? Come MoVimento 5 Stelle crediamo che se non viene attuata una politica forte di prevenzione dall’inquinamento, qualsiasi iniziativa rischia di essere inutile. Per questo, le istituzioni devono fare luce sulle fonti di inquinamento ed effettuare scelte politiche coraggiose iniziando dalle sorgenti maggiormente impattanti, ricordando che anche Arpa recentemente ha chiesto a un importante impianto industriale di ridurre la produzione.

Ecco l’intervento di Alda Sancin anche in video

MISURE PER LO SVILUPPO DEL SISTEMA TERRITORIALE REGIONALE: RELAZIONE DEL M5S

Il corposo provvedimento legislativo che reca una rubrica altrettanto imponente, riprende le cosiddette leggi omnibus spesso utilizzate dalla precedente legislatura di centro destra e aspramente criticate dall’allora opposizione di centro sinistra.

Pur comprendendo le ragioni manutentive dell’ordinamento e il recepimento di norme sovraordinate, si assiste per l’ennesima volta ad una soluzione tampone, non organica e non sistematica che sicuramente porterà altrettanti nuovi problemi, anziché risolvere quelli attuali o quantomeno semplificare la vita di cittadini e operatori.

Ci si riferisce non solo all’assenza di relazione tecnico-finanziaria di diverse disposizioni che incidono sul bilancio regionale e ai dubbi di legittimità costituzionale di alcune modifiche (a dir poco ardite) in materia di distanze (pareti finestrate) e procedure di regolarizzazione degli interventi in zona sismica, ma anche ad alcune precisazioni alle procedure vigenti (soprattutto in materia di varianti urbanistiche di livello comunale) che sembrano infatti dettate più per sollevare gli uffici pubblici da questioni applicative puntuali a loro esclusivo carico, piuttosto che essere sostenute da concrete esigenze di semplificazione a favore dei cittadini.

E pensare che in sede di discussione del ddl 107, ora LR 21/2015, era stata più volte segnalata la scarsa chiarezza del testo normativo che, dietro un paravento di limitare l’ulteriore consumo di suolo agricolo (ponendosi l’obiettivo del raggiungimento del consumo di suolo zero entro l’anno 2050) di fatto andava ad estendere le fattispecie di ampliamento degli insediamenti con procedura di esclusiva competenza comunale e dietro la dimostrazione di pindarici e suggestivi requisiti, senza procedere ad una riforma organica della materia ovvero senza dotare il territorio di un nuovo strumento di pianificazione territoriale regionale, visto che quello tutt’ora vigente è del 1978.
Ma in effetti, l’unica proposta di riforma organica della materia urbanistica che questa legislatura abbia generato è pdl 139, presentata il 18 marzo 2016 d’iniziativa dei consiglieri Dal Zovo, Bianchi, Frattolin, Sergo, Ussai, assegnata alla IV Commissione permanente con provvedimento del 23 marzo 2016 e a tutt’oggi in attesa di calendarizzazione.

Evidentemente l’attuale maggioranza ha dimenticato che al secondo punto del programma di governo vi era una certa riforma dell’urbanistica, obiettivo che ha giustificato anche la nomina di un assessore tecnico esterno.

Fatta questa breve premessa, utile a chiarire le motivazioni di un giudizio sostanzialmente negativo sul provvedimento, ancorché alcune disposizioni, per lo più in materia di semplificazione dei regimi edili, risultino di condivisibile contenuto e in recepimento di quanto già vige nel resto della Repubblica a seguito della cd. riforma Madia, si ritiene utile entrare nel merito, indicando le parti di maggiore criticità nella speranza che l’Aula apporti le modifiche indispensabili a dare concretezza all’ennesima legge manifesto di questa legislatura.

Stiamo per approvare una legge regionale che dovrebbe fare chiarezza sulle attività di manutenzione delle vie di navigazione, ovvero sui dragaggi. Si interviene per semplificare le procedure ed accelerarle, ma queste procedure e queste semplificazioni sono già state abbondantemente utilizzate per la realizzazione dei lavori urgenti dei lavori di dragaggio del fiume Corno. Infatti, per completare gli stessi sono servite sei perizie di variante più lavori complementari affidati cinque mesi fa ma che ancora devono iniziare, nonostante l’affidamento diretto degli stessi alle medesime imprese. Desta inoltre perplessità la norma che prevede accordi con soggetti privati titolari o gestori di marine o di porti e approdi turistici, anche tra loro consorziati, per l’attuazione in via ordinaria da parte degli stessi di interventi manutentivi dei canali marittimi e delle vie di navigazione interna di competenza regionale: tali convenzioni darebbero ai privati la facoltà di scegliere il soggetto realizzatore dell’opera, senza dover sottostare al rispetto delle procedure di scelta del contraente previste dalla normativa vigente.

In materia di sviluppo delle infrastrutture portuali, l’articolo 8 prevede l’avvio di un progetto sperimentale consistente in un servizio intermodale ferroviario di trasporto di brame di ferro tra i porti della regione e le aziende utilizzatrici situate nelle zone industriali di interesse regionale (D1), finalizzato alla riduzione del traffico su strada e all’incremento della connessa sicurezza. Nulla di più condivisibile; attendiamo però ancora di sapere se questo andrà ad interagire con le convenzioni di servizio FFSS e se per la sua concreta attuazione, gli operatori saranno lasciati in balia degli eventi.

In materia di conformazione degli strumenti urbanistici comunali al Piano paesaggistico regionale, la disposizione proposta indica genericamente le procedure della “legge regionale in materia urbanistica” senza indicare specificamente quale, un tanto perché forse la Regione dovrebbe essere in grado di stabilire se tale procedura di mera conformazione possa essere soggetta esclusivamente alle cd. varianti non sostanziali di cui alla LR 21/2015 (e apporre alla medesima legge le eventuali necessarie integrazioni), o anche o solamente alla procedura cd. ordinaria di cui alla LR 5/2007.

In materia edilizia, pur condividendo l’impianto generale delle modifiche alla LR 19/2009 in recepimento alle norme semplificatorie introdotte a livello nazionale nel 2016, si assistono ad alcune estensioni dei limiti dimensionali non coerenti con i principi generali enunciati e introdotti dal medesimo ddl all’articolo 1 del Codice regionale dell’edilizia. Ad esempio le tettoie realizzabili in libera passano da 20 mq a 25 mq (senza valutare che invece ai fini della valutazione della limitata importanza nel contesto statico le metrature stabilite dalle norme regionali di settore sono ben inferiori), utilizzando lo stesso limite volumetrico delle pertinenze (ma volume e superficie coperta non sono proprio equiparabili sotto il profilo dimensionale). Si estende inoltre la facoltà di pavimentazione di aree per parcheggio, che passerà dagli attuali 20 mq ai proposti 100 mq per unità immobiliare, misura forse eccessiva in considerazione che uno stallo di parcheggio è pari a 12,5 mq. Probabilmente la Giunta intende con ciò sopperire alla cronica assenza di posti auto delle nostre città, peccato che tale problema non si risolva pavimentando le residue aree verdi pertinenziali private.

Si introduce anche un nuovo comma all’art. 16 dedicato agli interventi in zona industriale, inserendovi interventi che già rientrano nella definizione di manutenzione e quindi già eseguibili in attività libera, come se la particolare destinazione d’uso comportasse modifiche al regime generale o richiedesse puntualizzazioni diverse rispetto agli interventi eseguibili in tutte le altre zone (è bene ricordare che un volume tecnico resta un volume tecnico, sia esso destinato ad accogliere meccanismi di un ascensore di un condominio residenziale ovvero, come proposto ora dalla Giunta, per accogliere interruttori elettrici, valvole di intercettazione fluidi, ecc.).

L’eccesso di normazione non è mai stato foriero di semplificazione, ma semmai solo testimonianza di un generale abbassamento delle competenze tecniche e di interpretazioni soggettive.

Anche l’inserimento dell’articolo 16-bis con puntuale indicazione degli interventi soggetti a comunicazione asseverata, non tiene conto che il d.lgs. 222/2016 ha trasformato la comunicazione di inizio lavori asseverata in fattispecie residuale, con la conseguenza che non è più necessaria una loro puntuale indicazione in legge, ma semmai –in caso di sussistenza di concrete esigenze di chiarezza- risulta più opportuna una loro individuazione non tassativa in regolamento (come fatto a suo tempo per la precedente fattispecie residuale, la Scia).

L’articolo 33, che a sua volta introduce un nuovo articolo 39-bis alla LR 19/2009, trasforma in misura stabile e sine die, l’efficacia del vigente articolo 58, comma 3 della LR 19/2009.

Il Piano casa del centro destra, tanto criticato e opposto dal centro sinistra nella precedente legislatura, ora non solo viene portato a vessillo della maggioranza, ma anche reso definitivo in assenza di una pianificazione territoriale regionale che porti ad attualità le oramai superate previsioni di PURG. L’applicazione a tutte le destinazioni urbanistiche e la possibilità dell’ampliamento “in corpo distaccato” (intervento, è bene ricordare, considerato border line e ricondotto dalla giurisprudenza tra le nuove costruzioni), non pare in linea con il contenimento di consumo di suolo tanto perseguito dalla Giunta. L’alibi della facoltà per il Comune di modularne o vietarne l’efficacia mediante delibera consiliare o variante di livello comunale secondo le procedure della legge regionale 21/2015, non solo non risolve le problematiche sottese, ma porterebbe ad ulteriori sperequazioni tra territori e cittadini, perseguendo pertanto obiettivi diametralmente opposti a quelli previsti dalla legge.

Purtroppo questo non è l’unico intervento in materia di Piano casa, si segnala che l’articolo 35, passato in sordina durante i lavori consiliari, modifica l’articolo 57, comma 2 della LR 19/2009 vigente, prevedendo che anche le “varianti in corso d’opera” presentate entro il 18.12.2017 vengono fatte salve per poter assentire gli interventi in deroga, con conseguente estensione -di fatto- ad ulteriori tre anni (e senza effettivo inizio dei lavori) delle disposizioni di deroga.

La circostanza che anche la Federazione regionale degli Ordini degli architetti, affermi che “le misure straordinarie sono state identificate come l’unico strumento di adeguamento e rinnovamento del consistente e compromesso patrimonio edilizio regionale, spesso altrimenti limitato, quando non impedito, dalle disposizioni contenute negli strumenti urbanistici attualmente vigenti”, non può giustificare nuove deroghe, ma dovrebbe al contrario portare l’esecutivo regionale ad una seria riflessione sui contenuti degli strumenti urbanistici e sulle procedure per le loro varianti.

Infine, riprendendo le disposizioni in materia di varianti di livello comunale di cui alla LR 21/2015, molti soggetti auditi hanno evidenziato l’inopportunità di estenderne le previsioni (che evidentemente vanno a ridurre i suoli agricoli esistenti) senza l’introduzione della cd. “clausola di invarianza” o di misure compensative. Istituto di certa competenza dello strumento di pianificazione territoriale regionale, ma che per i già denunciate ragioni di inerzia, andrebbe perlomeno introdotto in misura interinale all’interno della legge, che oltretutto persegue -anche se solo sulla carta- la riduzione del consumo di suolo.

VOUCHER-TAXI: LA GIUNTA SI E’ FINALMENTE ACCORTA CHE I FONDI NON VENIVANO PIÙ EROGATI

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La maggioranza finalmente si è destata dal suo torpore. Con un anno e mezzo di ritardo e in risposta alle nostre continue domande su questo argomento, solo oggi la giunta Serracchiani ha confermato, infatti, l’esistenza delle risorse finalizzate a garantire il diritto alla mobilità delle persone disabili che in alcuni comuni si esplicita nei cosiddetti “voucher taxi”. Risorse che, a dire di Telesca, sono state regolarmente trasferite alle Uti e a una cinquantina di comuni. Ora continueremo con il nostro pressing per verificare che questi trasferimenti vengano impiegati rapidamente e correttamente.

Curiosa poi l’idea dell’assessore di scegliere un comunicato stampa per rendere pubbliche le decisioni dell’esecutivo regionale in merito alle somme necessarie a erogare una serie di servizi sociali. Il “caso” vuole infatti che esattamente la prossima settimana Telesca fosse chiamata a rispondere in Commissione a una nostra interrogazione, depositata quasi una anno fa, che evidenziava i gravi ritardi accumulati dalla giunta Serracchiani in questo settore. Pare ovvio che l’assessore abbia voluto anticipare i tempi per fare una bella figura mediatica, cercando – invano – di coprire il fatto che da oltre 18 mesi venisse negato questo diritto alle persone con disabilità.

Se questa situazione pare sbloccarsi, ricordiamo però che continuano a mancare le risorse per i mezzi per disabili in carrozzina della Radio Taxi Trieste, mezzi che si stanno via via logorando. Il mantenimento di queste vetture speciali era garantito da uno specifico finanziamento della Provincia ora passato alla Regione. Nulla si sa però in merito a quanto sia stato finanziato né quando usciranno i nuovi bandi. Ancora silenzi quindi dalla giunta Serracchiani incapace di dare risposte rapide e certe ai piccoli imprenditori che garantiscono un servizio di pubblica utilità molto apprezzato e sfruttato soprattutto durante le festività pasquali e natalizie da chi ha bisogno di questi mezzi per condurre una vita più dignitosa e inclusiva.

RELAZIONE SU CONTRASTO DELLA DIPENDENZA DA GIOCO D’AZZARDO

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Gentili Presidente e Consiglieri,

Siamo qui oggi a discutere e spero ad approvare all’unanimità, la presente proposta di legge che intende adeguare la normativa regionale sull’azzardopatia, adottata nel 2014, ai recenti sviluppi conosciuti dagli studi del fenomeno e dalle normative adottate in altre regioni, al fine di rendere il più possibile efficace la prevenzione e il trattamento della patologia nel territorio regionale.
Il fatto che il gioco d’azzardo, a differenza dell’assunzione di sostanze, sia un’attività socialmente accettata e percepita come un normale passatempo, provoca una sottostima del reale pericolo che rappresenta nella sua forma patologica.

Così, in molte persone il piacere del gioco viene sostituito, quasi senza che se ne rendano conto, dalla perdita di controllo del gioco e del senso del limite, da un impulso incontrollabile, da una vera e propria forma di dipendenza che porta i giocatori alla rovina di sé stessi e delle proprie famiglie, arrivando a indebitarsi all’inverosimile, a commettere atti illeciti, a ricorrere all’usura, a perdere il posto di lavoro, talvolta a cadere in forme di disperazione tali da vedere nel suicidio l’unica soluzione possibile.
Da qui anche l’errore di utilizzare Il binomio gioco – azzardo: è un’associazione sbagliata e fuorviante.
Il gioco come espressione di svago, creatività e crescita è parola che rievoca un’attività ludica. L’azzardo non è un gioco perché non accresce il benessere psico-fisico né risponde ai valori educativi bensì crea dipendenza, porta all’isolamento ed espone a rischi.

Dal 1948 – quando venne nazionalizzata la schedina del totocalcio – a oggi, il mercato del gioco d’azzardo in Italia ha avuto un trend in continua espansione, determinato anche dalle decisioni politiche che hanno generato le manovre economiche: dai primi anni novanta del secolo scorso, infatti, non c’è stato anno in cui il Governo nazionale non abbia introdotto nuove offerte di gioco pubblico. Senza contare che, con la legalizzazione dei giochi on line, ora si può giocare in qualsiasi momento dal proprio personal computer o dal proprio smartphone.
Soprattutto a partire dagli ultimi anni, si può affermare, senza ombra di dubbio che si è passati dal gioco come fenomeno sociale (e, per alcuni aspetti, sommerso) all’istituzione di una vera e propria industria: 35 milioni di italiani coinvolti e una spesa complessiva che negli ultimi anni ha collocato l’Italia al primo posto in Europa e al quinto nel mondo tra i Paesi che giocano di più.

Così il gioco d’azzardo è diventato un pilastro dell’economia del nostro Paese, favorito dal progresso tecnologico, dalla globalizzazione, dalle tendenze sociali e anche dalla crisi economica ancora in corso che lo rende una un’illusoria quanto ingannevole ancora di salvezza per uscirne.

Ricordo che secondo i dati forniti dall’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane, “l’industria dell’azzardo” vale il 5,5% circa del PIL nazionale collocandosi al quarto posto fra le industrie italiane (dietro a Exor, Eni e Generali, prima di Enel).

Non si può non considerare che a tale fenomeno si connette anche l’infiltrazione mafiosa.
Le inchieste della Magistratura, di cui abbiamo ormai notizia quasi quotidiana, hanno messo in evidenza come questo fenomeno sia sempre più oggetto di interesse delle infiltrazioni delle grandi organizzazioni criminali e che esista un legame molto stretto tra l’azzardo e l’usura.

Nonostante l’art. 5 del D.L. n. 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi), abbia inserito a dimostrazione della gravità del fenomeno, le prestazioni di prevenzione sanitaria, cura e riabilitazione alle persone affette da ludopatia, (intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall’Organizzazione mondiale della sanità ), nei ”livelli essenziali di assistenza” (c.d. L.E.A) attualmente, nel nostro ordinamento, vi è una frammentazione legislativa tale da ostacolare una normativa corretta del settore.

I dati pubblicati nel sito dell’Osservatorio per il contrasto e la diffusione del gioco d’azzardo (istituito presso il Ministero della Salute con decreto 24 giugno 2015), ci dicono che per quanto riguarda la diffusione del gioco d’azzardo e del GAP nella popolazione adulta italiana, circa 17 milioni di persone (42,9% della popolazione) hanno giocato almeno una volta somme di denaro. Di questi, meno del 15% ha un comportamento definibile “a basso rischio”, il 4% “a rischio moderato” e l’1,6% “problematico” (oltre 800.000 persone, prevalentemente di sesso maschile – rapporto M/F=9:1). Secondo la relazione annuale al Parlamento (Dipartimento Politiche Antidroga) 2015, il totale di pazienti in carico ai Servizi per GAP ammonta ad oltre 12.300 persone.

Ogni anno i danni socio-sanitari causati dall’azzardopatia sono pari a 6 miliardi di euro, mentre sono quasi 4 i miliardi di mancata IVA sui consumi di chi butta i propri risparmi tentando la sorte anziché acquistare beni di prima necessità.

Con le tragedie personali e familiari conseguenti a questi numeri, si misurano soprattutto le regioni e gli enti locali, che sopportano il peso maggiore delle ricadute sociosanitarie negative del gioco, e che sono da tempo impegnati in azioni volte a contrastare il fenomeno, attraverso gli strumenti loro consentiti dalla legge a confermare che il problema sociale costituito dall’azzardopatia è percepito in modo diffuso e trasversale nel territorio.

I Comuni, in particolare, da anni, chiedono alle istituzioni competenti, leggi che consentano loro e ai servizi socio sanitari di applicare misure in grado di porre un argine efficace al dilagare di una pratica i cui effetti stanno nuocendo gravemente a molte famiglie e minando la stabilità del tessuto sociale.

L’interessamento è da ricondursi nella potestà riconosciuta ai Comuni in materia di autorizzazione amministrativa del gioco d’azzardo e di vigilanza sui luoghi abiti ad esso, nonché alla vicinanza dell’amministrazione locale agli interessi della collettività, considerata anche nel sistema della c.d. sussidiarietà sancita nel Titolo V della Cost., che consente di far sì che siano i livelli di governo più bassi e più vicini alla comunità a percepire le nuove istanze di quest’ultima ed a cercare di darvi risposta.
Una prima forma di tutela in via amministrativa attivata contro l’azzardopatia è rappresentata dal ricorso, da parte dei sindaci delle amministrazioni comunali, ai poteri di ordinanza contingibili e urgenti di cui all’art. 54, comma 4, D.lgs. n. 267/2000 (c.d. T.U. degli enti locali).

Tale strumento ha rappresentato una prima forma di tutela contro l’azzardopatia utilizzato dalle amministrazioni locali. Purtroppo spesso strumento inefficace, infatti, il suo utilizzo confluisce in molti casi in declaratorie di illegittimità da parte del giudice amministrativo. (Vedi le recenti sentenze TAR MOLISE, SEZ. I – sentenza 28 aprile 2017 n. 155 TAR TOSCANA, SEZ. II – sentenza 17 marzo 2017 n. 396 che hanno dichiarato l’illegittimità delle ordinanze sindacali che riducevano notevolmente gli orari di apertura degli esercizi dedicati al gioco per difetto di motivazione)
E ancora, la Corte costituzionale, ha osservato che in base agli artt. 23 e 97 Cost. gli atti amministrativi che incidono sulla libertà dei consociati, imponendo ad essi obblighi o divieti, debbono ordinariamente avere una base legislativa, che indichi in maniera puntuale il presupposto fattuale cui è subordinato l’esercizio del potere e che predefinisca il contenuto del provvedimento per fronteggiare la situazione creatasi.

Pertanto, anche nel caso di adozione di provvedimenti contingibili e urgenti che operano restrittivamente nei confronti di operatori economici (incidendo sugli orari e/o sulle modalità di svolgimento delle attività commerciali), l’amministrazione comunale non può astenersi dal dimostrare l’esistenza concreta di gravi e imminenti fenomeni pregiudizievoli per la collettività di riferimento.
Nonostante quindi l’estrema necessità di interventi a livello statale, Governo e Parlamento si sono dimostrati, ad oggi, per lo più inerti nella battaglia contro il gioco d’azzardo patologico.

Io ritengo viceversa che senza un intervento legislativo efficace a livello nazionale il contrasto a questo fenomeno che è fonte di malattia, disabilità fisica, psichica e sociale, nonché di rischio suicidario, non può essere efficacemente contenuto.

E’ indispensabile che in Italia venga approvata al più presto una norma sui temi più urgenti per il contrasto del gioco d’azzardo che preveda, tra l’altro: il divieto assoluto di pubblicità dell’azzardo in ogni sua forma e con ogni mezzo, che riconosca i poteri regolamentari dei Comuni e delle amministrazioni regionali anche per il gioco d’azzardo. Ricordo che su entrambi questi argomenti la nostra regione si è impegnata ad attivarsi, accogliendo all’unanimità delle mozioni da noi proposte. E’ necessario inoltre che lo Stato realizzi un’effettiva riduzione dell’offerta del gioco d’azzardo che impedisca l’infiltrazione delle mafie, l’evasione fiscale e garantisca la tranciabilità dei flussi finanziari.

E’ in questo contesto che nasce la consapevolezza e l’impellenza di disciplinare meglio la materia almeno a livello di regionale.

Segnalo, infatti, che sin dall’approvazione della legge regionale 1 del 2014 per il contrasto al gioco d’azzardo patologico in Friuli Venezia Giulia, il legislatore regionale si è reso conto che, senza una più stringente azione supportata da scelte legislative coraggiose e rigorose, la disciplina appena varata rischiava di rimanere inefficace.
A queste conclusioni è giunto anche il lavoro effettuato dal Comitato per la legislazione, valutazione e controllo che in sede di esame della documentazione prodotta dall’esecutivo per rispondere alla clausola valutativa, ha fatto emergere le criticità della legge regionale n. 1/2014 e la consapevolezza che andava modificata con proposte di regolamentazione più stringenti per far fronte in modo adeguato ai drammi del gioco, per meglio organizzare formazione e prevenzione, per catalizzare l’impegno di tanti soggetti che – a livello regionale e locale – si mobilitano per gli stessi fini .

Si è giunti quindi alla presente proposta di legge che è frutto dell’analisi congiunta dello stralcio n. 129-03 e della proposta di legge 174 d’iniziativa consiliare del M5S e della PDL n.93 d’iniziativa della consigliera Piccin.

Un comitato ristretto ha fatto propri i contenuti dei 3 provvedimenti, per la loro completezza sul tema.

Inoltre, nel corso delle audizioni che si sono succedute in seno al comitato ristretto e in III commissione, è stato fornito un quadro ben visibile delle conseguenze drammatiche e degli alti costi sociali che il suddetto fenomeno provoca e quindi molte istanze sono state recepite e successivamente declinate in disposizioni normative. Tutto ciò ha consentito di presentare un testo unificato e condiviso di riordino delle norme vigenti per la prevenzione, il trattamento e il contrasto della dipendenza dall’azzardo che da un lato vuole rappresentare la risposta regionale per la tutela, cura e prevenzione della salute degli individui ma che dall’altro, ritengo rappresenti solo un buon punto di partenza di una più ampia, concreta e articolata discussione sul tema che deve necessariamente essere stimolata a livello nazionale.

Nel particolare, in 7 articoli si va a modificare, rendendola più efficace, la legge regionale attualmente in vigore, la n.1 del 2014.

Si comincia con intensificare l’articolo 2 della 1/2014 parlando non solo di gioco d’azzardo patologico ma anche di disturbo da gioco d’azzardo, e introducendo specifiche alle definizioni di sala da gioco, sala scommesse, luoghi sensibili (ad esempio si introducono quelli di aggregazione per anziani piuttosto che gli sportelli bancomat), installazione di apparecchi, concessionario, vetustà o guasto dell’apparecchio.

Con l’articolo 2 si modifica l’articolo 5 della LR 1/2014 e si va ad incidere sulle competenze della Regione impegnandola a collaborare anche con le associazioni degli esercenti, le Camere di commercio e le associazioni del terzo settore, per promuovere un codice etico di autoregolamentazione che responsabilizzi i gestori che saranno tenuti a dare informazioni sulle probabilità reali di vincita e un test di verifica per una rapida valutazione del rischio di dipendenza. Non da ultimo, si vieta qualsiasi attività pubblicitaria relativa all’apertura o all’esercizio di sale da gioco, l’oscuramento delle vetrine, nonché la concessione di spazi pubblicitari compresi nei siti Internet delle istituzioni pubbliche della Regione.
Un altro aspetto fondamentale riguarda l’accesso ai finanziamenti regionali. Un esercente che vorrà ottenere un finanziamento, infatti, non potrà ospitare nei suoi locali le slot machine. Un requisito essenziale, già attuato dalla Regione Piemonte e che si è deciso di inserire in questa proposta di legge quale segnale forte nella battaglia contro il gioco d’azzardo patologico.

Le competenze dei Comuni, vengono esplicitate nell’articolo 3 (che sostituisce l’art. 6 della LR 1/2014).
Si ribadisce il divieto di installazione di macchinette da gioco e la raccolta di scommesse entro la distanza di 500 metri da un luogo sensibile, precetto già presente nella legge del 2014, ma non appena questo testo diventerà legge del Friuli Venezia Giulia, sarà applicato anche alle sale giochi, sale scommesse e bar già in esercizio che ospitano delle slot. Le stesse avranno al massimo 5 anni di tempo per spostarsi a una distanza di 500 metri da quelli che vengono definiti luoghi sensibili, ovvero da istituti scolastici, centri professionali, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali sociosanitarie, luoghi di aggregazione giovanile e per anziani, biblioteche, ricreatori, oratori, istituti di credito e bancomat, esercizi di compravendita di oggetti preziosi e oro usati e stazioni ferroviarie e ogni altro luogo che i Comuni individueranno come sensibile. In buona sostanza si ridurrà drasticamente l’offerta del gioco d’azzardo nei centri urbani.

Ogni installazione di apparecchi per il gioco lecito dovrà essere comunicata al Comune attraverso lo Sportello unico per le attività produttive (Suap) entro 10 giorni. I Comuni possono individuare gli orari di apertura delle sale e la relativa eventuale sanzione amministrativa.

Si introduce un articolo ex novo, l’8 bis, con cui l’aliquota dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) sarà maggiorata per sempre dello 0,92% a quegli esercizi pubblici, commerciali e circoli privati (sono escluse le scommesse) che hanno installato apparecchi per il gioco, mentre sarà ridotta, per tre esercizi commerciali e sempre dello 0,92%, a quelli che li toglieranno volontariamente.

Modificate in parte anche le sanzioni pecuniarie dell’articolo 9, prevedendo il loro raddoppio in caso di reiterazione delle violazioni, sino ad arrivare alla sospensione dell’esercizio dell’attività da 10 a 60 giorni.

Si riscrive la clausola valutativa della norma del 2014 articolandola meglio. Da ultimo, si prevedono disposizioni finali e transitorie nelle more dell’entrata in vigore delle modifiche alla legge e in sede della loro prima applicazione.

Riteniamo che il legislatore regionale in questo caso abbia raccolto una “scommessa responsabile” affrontando con serietà questo tema e ribadendo il suo impegno a contrastare, con gli strumenti a disposizione, la diffusione dell’azzardo affinché venga riconosciuta a Comuni e Regioni la piena sovranità nella ulteriore limitazione dell’offerta di azzardo sul territorio.

Il mio auspicio è che il governo Gentiloni o quello che a lui succederà, non renda inutile questo provvedimento, adottando una legge nazionale che continui a favorire le lobby del gioco d’azzardo ma che finalmente intraprenda azioni di reale contrasto a questo devastante fenomeno sociale per la tutela del diritto alla salute, come garantita dall’articolo 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»),

Grazie

GIOCO D’AZZARDO: APPROVATA LEGGE FORTEMENTE VOLUTA DAL M5S

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Esprimiamo grande soddisfazione per l’approvazione oggi di questo provvedimento da noi richiesto da tre anni e mezzo e che ha accolto la quasi totalità delle nostre proposte. Tra le più significative quella che limita l’accesso ai finanziamenti regionali ai soli esercente che non ospitano le slot machine, il divieto all’installazione di macchinette da gioco entro la distanza di 500 metri dai luoghi sensibili anche per le attività già aperte, il limite degli orari di gioco all’interno delle sale, l’attivazione di un numero verde per le richieste di aiuto, il divieto della pubblicità delle sale gioco e dell’oscuramento delle vetrine. Proviamo pertanto un grande orgoglio per aver dato un apporto fondamentale alla stesura di questo testo unico.

Si tratta di una buona legge. Sono risultati molto utili tutti gli apporti arrivati dagli esperti del settore che abbiamo ascoltato in Consiglio regionale, dagli uffici della Regione e da parte dei colleghi delle altre forze politiche. Oggi abbiamo vinto una battaglia importante, si tratta però di una vittoria parziale. Ora la battaglia va spostata a livello nazionale dove lo Stato continua a fare cassa sulla pelle dei cittadini.

SISTEMA DELLE COOPERATIVE: BASTA CON L’IPOCRISIA VERGOGNOSA DELLA SERRACCHIANI

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Solo oggi, dopo quattro anni di governo del Friuli Venezia Giulia, la presidente Serracchiani si rammenta di chiedere al governo Gentiloni di mettere mano al sistema della vigilanza e del prestito sociale, distinguendo fra le cooperativa vere e quelle fasulle? Della serie: ipocrisia a livelli siderali! Dopo tre anni di disastri – da noi annunciati e talvolta preannunciati – che hanno devastato il nostro sistema delle cooperative, siamo costretti a ricordare alla governatrice che lei stessa, in prima persona, non ha ancora messo mano alla legge regionale sulla vigilanza.

Eppure abbiamo competenza legislativa per modificare la questa normativa. Forse la presidente della Regione ritiene che il nostro sistema sia perfetto? È quello che abbiamo​ sempre sostenuto anche noi affermando che la Legge c’è ma non è stata applicata. Allora Serracchiani abbia il coraggio di dirlo anche ai soci risparmiatori che ci hanno rimesso il prestito sociale. L’ipocrisia di questa politica di professione è senza fine! Continua a fingere di non sapere o non capire quali siano state le responsabilità della Regione in questa vicenda. Eppure non ci vuole tanto; basterebbe dare un’occhiata alla legge regionale o – almeno – accorgersi che esiste già e che se qualcuno l’avesse applicata forse non è di arrivava a questo punto.

È doveroso ricordare per l’ennesima volta quanto sia stato grave che un’amministrazione regionale non abbia esercitato il proprio potere di vigilanza, né nelle modalità né nei tempi previsti dalla legge. Nel caso di CoopCa – tanto per fare un esempio lampante – per mesi alcuni componenti del cda coinvolti nell’indagine sono stati lasciati tranquillamente al loro posto, nonostante le legittime richieste di avvicendamento avanzate dai soci. Eppure la Legge Regionale permetteva di agire anche in questo caso ma non si è fatto. Chi vuole governare pensando esclusivamente al bene dei cittadini deve essere sempre in grado di intervenire con decisione e coraggio. Prima che i disastri feriscano chi vive in questa regione.

Serracchiani dica piuttosto ai soci prestatori quando potranno rivedere i soldi andati in fumo. Sia a Trieste che a Tolmezzo c’è ancora gente che aspetta. Neppure sul lato dell’Isee che penalizza i soci è stato fatto qualcosa. Noi abbiamo riportato la vicenda all’attenzione del Consiglio regionale con una mozione, ma deve essere il governo a muoversi!

CENTRI COMMERCIALI: IL MINISTERO DA RAGIONE AL M5S

Anche nel Friuli Venezia Giulia i contratti di affitto di ramo d’azienda stipulati dalle singole attività negli outlet e nei centri commerciali e che prevedono di licenziare i dipendenti alla fine del contratto vanno rigettati. Si tratta di contratti, dichiarati illegittimi già da tre sentenze della magistratura, che costringono i negozianti a licenziare i propri dipendenti prima di restituire il ramo d’azienda alla proprietà invece di fare ciò che prevede l’art. 2112 del codice civile: i dipendenti devono continuare a lavorare nel centro commerciale.

A gennaio avevamo reso pubblica l’indagine della Guardia di Finanza e della Procura di Gorizia che, partendo da un caso specifico riguardante il Tiare di Villesse, aveva messo in forte dubbio la validità degli affitti di ramo d’azienda imposti dai centri commerciali ai piccoli negozi.

Il trucco è semplice. Attraverso il sistema dell’affitto del ramo d’azienda chi subentra nel negozio preferisce assumere nuovo personale, quasi sempre con contratti precari e con i benefici solo per lui e non certo per i lavoratori del “Jobs-act”. Un sistema, finalmente, definito illegittimo anche dallo stesso Ministero del Lavoro. Il governo, rispondendo a una interrogazione del deputato M5S Claudio Cominardi che chiedeva di tutelare le posizioni lavorative del personale dipendente della Saldarini Srl, ha ribadito infatti che il rapporto di lavoro, in base a più pronunciamenti della Cassazione, debba proseguire con la proprietà del Centro e che il lavoratore debba conservare tutti i diritti.

Da tempo monitoriamo la situazione anche nella nostra regione. Stiamo cercando di capire anche quanto queste pratiche illegittime stiano costando sia ai lavoratori che si ritrovano ingiustamente per strada dopo la chiusura di un negozio, sia alle casse dello Stato e della Regione. Basti ricordare che se si licenzia un dipendente ci sono danni incalcolabili per tutta la società e anche per la Regione che, ad esempio, eroga contributi alle imprese per assumere nuovamente queste persone, ma tutto ciò non sarebbe necessario. Si fa questo solo per permettere alla grande distribuzione di essere sempre più competitiva rispetto ai piccoli negozi di vicinato.

Per tutte queste motivazioni invitiamo i lavoratori che stanno per essere licenziati di verificare se i loro datori di lavoro hanno stipulato un affitto di ramo d’azienda e di rifiutare il licenziamento e gli ammortizzatori sociali. È un loro diritto, sancito dal Codice civile oltre che dalla normativa comunitaria, continuare infatti a lavorare in quel centro commerciale.

MORIA DI PESCI NEL TAGLIAMENTO: INTERPELLANZA DEL M5S

Dimezzare la portata del deflusso minimo vitale del fiume Tagliamento senza ordinare all’Ente Tutela Pesca il recupero della fauna ittica causando di conseguenza una vasta moria di pesci può essere considerata una buona pratica per contrastare i cambiamenti climatici in atto? Lo abbiamo chiesto alla giunta Serracchiani con una interpellanza dopo aver constatato personalmente gli effetti che queste decisioni stanno avendo su temoli, barbi e trote che popolano il Tagliamento.

Le proiezioni climatiche stagionali, presentate nel seminario “Cambia il Clima in Fvg” dello scorso 20 giugno a Trieste, prevedono un aumento delle piogge invernali e una diminuzione delle piogge estive. Circostanze che hanno spinto l’assessore Vito ad affermare che “entro fine anno imposteremo la nostra strategia di adattamento, indicando le buone pratiche che tutti i cittadini potranno adottare per dare una risposta positiva ai cambiamenti climatici in atto”. Sono passati solo pochi giorni ed ecco che le “best practices” targate Serracchiani & Co. hanno preso forma: dichiarazione in via d’urgenza dello stato di sofferenza idrica, autorizzazione alla riduzione del deflusso minimo vitale (dvm) del Tagliamento per quindici giorni; dimezzamento della portata del dmv del fiume dall’impianto di Ospedaletto così da assicurare l’irrigazione dei campi.

Se da una parte è vero che la legge 152 del 2006 prescrive che nei periodi di siccità deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell’uso agricolo, dall’altra parte non possiamo sottovalutare che la stessa norma prevede che l’uso delle acque sia effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Patrimonio che – come testimoniano le immagini – oggi sta letteralmente morendo. Lasciare un fiume senza acqua non solo danneggia i pesci in modo evidente a tutti (anche alla stessa giunta Serracchiani), ma – conclude la consigliera penstastellata – è l’intero ecosistema a subirne le conseguenze. Muore la flora acquatica, muoiono gli invertebrati, i pesci, gli anfibi…”.

INFILTRAZIONI MAFIOSE NELLE ELEZIONI DI LIGNANO 2012

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Alla luce di quanto emerso oggi dalla Relazione 2016 della Direzione nazionale antimafia, con l’indagine sulle “evidenti irregolarità” del voto amministrativo del Comune di Lignano Sabbiadoro nel 2012, è necessario che il Consiglio regionale nomini con la massima urgenza i componenti dell’Osservatorio Anti-Mafia, uno degli strumenti più incisivi della legge intitolata “Norme in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata e di stampo mafioso”, presentata dal MoVimento 5 Stelle e approvata lo scorso 29 maggio.

Quelli che oggi vengono definiti come segnali “allarmanti” sono stati da noi denunciati da almeno tre anni. Siamo già troppo tardi. La nostra legge ha aspettato 28 anni. Già nel 1989 il giudice Borsellino, infatti, avvisava gli studenti nel corso di un incontro all’Università di Udine circa le possibilità di infiltrazione mafiosa nella nostra Regione. Ci sono voluti cinque cittadini eletti nelle istituzioni per approvarla. Ora chiediamo l’immediata applicazione di questa legge.

CEMENTIFICIO DI FANNA BRUCIA RIFIUTI: CITTADINI AVVERTITI CON DUE MESI DI RITARDO

Finalmente si chiude il cerchio e si completa il grande piano economico sulla pelle dei cittadini. La “virtuosissima” Ambiente Servizi (recentemente sotto indagine della Guardia di Finanza), che si vanta di un 80% di raccolta differenziata non raccontando però che la maggior parte dei materiali differenziati raccolti diventa Combustibile solido secondario (Css) destinato al recupero energetico, può finalmente risparmiarsi i viaggi in Slovacchia e conferire il combustibile da rifiuto a km quasi 0 nell’impianto di Fanna.

La Cementizillo dal canto suo, fregandosene del pendente ricorso al Consiglio di Stato dei comuni limitrofi, si salva dal fallimento concretizzando l’opportunità di vendere alla Buzzi Unicem un impianto già autorizzato e a regime nel quale smaltire rifiuti, senza far sapere, ad oggi, se verrà rinnovata anche la convenzione sul rimborso annuo al comune di Fanna.

In questo contesto idilliaco brillano le amministrazioni locali (comunali e regionali), che ben si guardano dall’informare, coinvolgere e soprattutto tutelare i cittadini. Per il sindaco di Fanna Demis Bottecchia, ma anche per Arpa e Azienda sanitaria, è assolutamente normale e corretto aspettare due mesi per avvisare la popolazione dell’avvio della fase di incenerimento rifiuti. Per Arpa e Ass non si profila nessun problema di “confusione” delle indagini ambientali in corso che dovrebbero chiarire lo stato di inquinamento del territorio e magari anche i responsabili. Tanto chissà quanto tempo ancora ci vorrà per arrivare a un verdetto: tra piani di campionamento incompleti e rivisti, analisi sbagliate e non conformi, terreni che si devono cercare per mesi (sperando che siano tutti effettivamente prati stabili intoccati da anni), indagini epidemiologiche che non tengono minimamente conto degli inquinanti effettivamente trovati, studi sui metalli pesanti che non esauriscono il ventaglio di inquinanti emessi sul territorio. Ai cittadini e alle autorità giudiziarie basta far vedere che qualcosa si sta facendo, mica sono tutti esperti di analisi ambientali!

I nostri virtuosi amministratori locali lo sanno che possono richiedere ad Arpa, pagando, ulteriori analisi oltre a quelle previste dai piani di campionamento ufficiali? Se lo sanno è evidente che la tutela della salute e dell’ambiente non rientri tra le priorità di spesa comunale. D’altronde non lo è quasi mai, se in tutta la regione appena due amministrazioni comunali su 216 hanno commissionato ad Arpa analisi extra per tutelare i propri cittadini (a Manzano dove è stato riavviato un inceneritore di rifiuti speciali e a Trieste dove le analisi dei giardini comunali hanno portato a ordinanze restrittive).

E la Regione? Forte di un programma elettorale della presidente Serracchiani che prevedeva l’assoluto divieto di autorizzare cementifici a bruciare rifiuti, di cui è stata fatta carta straccia dopo pochi mesi, l’esecutivo regionale si è limitato a istituire un fantomatico tavolo tecnico sulla questione ambientale locale, di cui nessuno ancora ha capito l’utilità.

In aggiunta la giunta Serracchiani si vanta pubblicamente di aver messo in campo una pianificazione regionale virtuosa sulla gestione dei rifiuti, quando contemporaneamente si autorizzano impianti in tutta la regione a smaltire quantitativi ben superiori al fabbisogno, non solo locale, ma addirittura regionale! Evidentemente l’importazione di rifiuti è un obiettivo strategico della politica economica regionale, altro che economia circolare!

Ci chiediamo come dovrebbero sentirsi oggi i cittadini che da anni chiedono un minimo di precauzione e attenzione all’ambiente in cui vivono?

Siamo letteralmente disgustati!

MALFUNZIONAMENTO CENTRALIZZAZIONE DEL SISTEMA EMERGENZE

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Continua a manifestare molte criticità l’attivazione del Numero unico per le emergenze. In particolare si stanno verificando problemi fra lo smistamento delle informazioni tra i diversi operatori coinvolti e l’attivazione dei loro interventi. Nel giro di pochissimi giorni ci è stato segnalato, infatti, che i vigili del fuoco sono intervenuti in un caso di strappo muscolare mentre – a dir poco clamorosamente – non sono stati coinvolti né nel caso dell’incidente mortale sul lavoro che si è verificato allo stabilimento della Wärtsilä, né in occasione di incidenti in montagna e della ricerca di persone in luoghi impervi.

Durante la visita effettuata lo scorso mercoledì a Palmanova nella sede della centrale operativa del 112, abbiamo potuto verificare gli sforzi umani, organizzativi e le innovazioni tecnologiche che sono state messe in campo per far partire il numero unico e la centrale unica di risposta alle emergenze sanitarie. La realtà dimostra però che servono ancora molti sforzi per migliorare l’operatività in merito alla condivisione delle “schede- contatto” tra i diversi operatori e il rispetto dei protocolli sull’attivazione degli interventi.

Nei prossimi giorni presenteremo una specifica interrogazione perché riteniamo che la giunta Serracchiani debba farsi parte attiva per promuovere il miglioramento delle procedure di intervento, il coordinamento e la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti nella gestione delle emergenze e nelle attività di primo soccorso. Non possiamo rischiare di sottovalutare le situazioni di emergenza a causa di mancanza di comunicazione.

Elena Bianchi – Andrea Ussai

COMPATIBILITÀ AMBIENTALE PER IL METANODOTTO TRIESTE-GRADO-VILLESSE

Dopo un iter durato ben nove anni, è spuntato pochi giorni fa, il parere di compatibilità ambientale del progetto “Metanodotto Trieste-Grado-Villesse”, strettamente collegato a quello del rigassificatore di Zaule. Secondo le intenzioni dei proponenti, il metanodotto verrà collegato alla rete di Snam Rete Gas per il terminale Gnl a Zaule progettato dalla società Gas Natural. Abbiamo subito presentato una interpellanza urgente in Consiglio regionale rivolta alla giunta Serracchiani.

La Regione deve dire immediatamente se intenda agire – anche in sede giudiziaria – contro il provvedimento di compatibilità ambientale emesso lo scorso 12 giugno dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. L’esecutivo regionale deve inoltre spiegare quali azioni intenda perseguire per riaffermare “l’inequivocabile volontà” della Regione di non autorizzare sul proprio territorio il terminale di ricevimento di Gnl di grande scala a Zaule.

Chiediamo anche che chi amministra il Friuli Venezia Giulia faccia sentire la propria voce a livello governativo. Bisogna far sapere ai cittadini quali azioni saranno adottate nei confronti sia del Ministero competente che in ogni Conferenza dei servizi che venisse indetta per scongiurare la realizzazione del metanodotto e di tutte le opere ad esso collegate.

Adesso anche il progetto del metanodotto, come quello del rigassificatore di Zaule, ha ottenuto la procedura di compatibilità ambientale emessa dai ministeri competenti. Compatibilità ambientale che prevede la bellezza di 58 prescrizioni formulate dalla Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via/Vas, 17 prescrizioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e 52 prescrizioni emesse dalla Regione Fvg. Visto che la giunta Serracchiani si è sempre dichiarata contraria sia al rigassificatore di Zaule e che al metanodotto, chiediamo che venga impugnato questo decreto come già fatto con quello del rigassificatore. Allo stesso tempo chiediamo alla presidente del Friuli Venezia Giulia di dire un secco no anche a questo progetto quando sarà convocata l’apposita Conferenza dei servizi.

DISABILITA’: SUI VOUCHER TAXI LA REGIONE RIMANE IN SILENZIO

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Da un anno e mezzo le persone con disabilità del Friuli Venezia Giulia non possono più usufruire dei contributi regionali che riguardano il diritto alla mobilità. E nulla si sa sul futuro delle diverse iniziative finalizzate all’accesso ai trasporti.

In ottemperanza delle norme per l’integrazione dei servizi e degli interventi sociali e sanitari a favore delle persone con disabilità, fino al 2015 la Regione affidava alle province dei contributi per sostenere i costi per iniziative finalizzate alla sperimentazione di modelli organizzativi innovativi. Fra questi i “voucher taxi” – tra l’altro molto utilizzati a Trieste – che permettevano l’accesso ai mezzi attrezzati per trasportare anche le persone con disabilità che utilizzano la carrozzina. Oggi questa materia è di competenza esclusiva della Regione che però non ha più concesso i contributi per il finanziamento dei “voucher taxi”, di fatto ostacolando l’inclusione sociale, lavorativa, l’autodeterminazione e l’autonomia di queste persone. Da un anno con atti ufficiali stiamo chiedendo alla giunta Serracchiani di spiegare cosa intenda fare in merito a questi contributi, fondamentali per assicurare l’accesso ai trasporti da parte di chi, nella vita di tutti i giorni, è già costretto ad affrontare tante difficoltà. Purtroppo però dall’esecutivo regionale non è giunta finora alcuna risposta.

Contributi che non arrivano neppure ai taxisti. A Trieste i mezzi per disabili in carrozzina della Radio Taxi Trieste, infatti, si stanno via via logorando. Anche in questo caso, fino a poco tempo fa il mantenimento di queste vetture speciali era garantito da uno specifico finanziamento della Provincia. Da quando però queste competenze sono passate alla Regione, anche su questa situazione la giunta Serracchiani non dà certezze. Non si sa ancora quanto sia stato finanziato né quando usciranno i nuovi bandi. Sono inaccettabili le non risposte dell’esecutivo regionale su un argomento così importante per le persone con disabilità.

In questo momento operano 24 ore su 24 a Trieste 14 vetture attrezzate per disabili in carrozzina. A definire i prezzi per l’utilizzo è un regolamento comunale e il costo medio per una tratta in città si aggira attorno ai 12,00/13,00 euro, mentre i tempi di attesa per l’arrivo del taxi sono mediamente di 5/10 minuti. Calcolando che statisticamente ogni tassista fa quasi 2 corse al giorno, il numero di utenti disabili che usufruiscono del trasporto risulta essere di fra gli 8.000 e i 10.000 all’anno. Si tratta inoltre di un servizio particolarmente utile e sfruttato durante le festività pasquali e natalizie.

Il problema è che il parco macchine della Radio Taxi Trieste, che fino a qualche tempo fa era di 16 vetture proprio grazie ai contributi erogati periodicamente dalla Provincia, sta lentamente diminuendo di anno in anno a causa del chilometraggio elevato accumulatosi dai taxi più vecchi. Tra quelle acquistate con il sostegno dei contributi della Provincia ci sono infatti 3 vetture con 8 anni di anzianità, 3 con 7 anni, 1 con 6 anni, 2 con 5 anni e le 3 più recenti hanno comunque 3 anni di vita. Per dare continuità a questo servizio nella massima sicurezza e puntualità, la Regione deve però garantire un graduale ricambio di vetture chiamate a sostituire quelle a fine servizio. È bene sapere inoltre che l’acquisto dell’autovettura rimane in carico al singolo tassista che da solo molto spesso non è in grado di accollarsi l’intero costo che si aggira sui 35.000 euro, tra l’acquisto della macchina e il necessario adeguamento per il trasporto delle carrozzine. I contributi che prima venivano erogati dalla Provincia consentivano ai taxisti di coprire almeno il costo dell’allestimento delle vetture per adeguarle al servizio disabili. Senza contributi queste iniziative, che hanno una valenza sociale molto rilevante, rischiano di naufragare per sempre.

FERRIERA: REGIONE LATITANTE NELL’ESERCIZIO DELLE SUE FUNZIONI

“Il Ministero dell’Ambiente ha emanato un decreto di riesame dell’Aia per l’esercizio dell’Acciaieria Arvedi-Siderurgica Triestina intesa a migliorare l’impatto acustico”. Questo quanto riporta oggi, giovedì 15 giugno, il quotidiano Il Piccolo. Ci è voluto il Ministero. Non sono bastate le numerose segnalazioni e sollecitazioni dei cittadini e del MoVimento 5 Stelle a indurre la Regione a cambiare rotta e prescrivere termini più brevi all’azienda per ridurre il rumore. Ricordiamo che la Regione aveva recentemente negato la revisione richiesta per gli stessi motivi dal Comune di Trieste.

Inoltre Arpa – si legge ancora sul quotidiano – ritiene che, tenuto conto del limite obiettivo per la polverosità valutata su base mensile, in aumento a partire da gennaio 2017, l’azienda debba attivarsi al più presto per ridurre la produzione dell’impianto in attuazione dell’Aia. In realtà quelli che si stanno per superare sono i valori obiettivi fissati per l’anno scorso! La Regione è latitante nell’esercizio delle sue funzioni: al contrario di quanto prescritto dall’AIA infatti, non ha ancora verificato e aggiornato i limiti e i valori obiettivi. Sei mesi e mezzo sono più che sufficienti per disporne la riduzione “nello spirito del continuo miglioramento della performance ambientale” come esplicitamente richiesto dall’AIA.

Dov’è la Regione? I continui richiami – richiesta di documenti e altro – di questi anni ad Acciaieria Arvedi-Siderurgica Triestina sono la palese conferma di ciò che noi andiamo dicendo da tempo: non andava rilasciata l’AIA e una volta rilasciata ne andava chiesta la revisione con limiti più stringenti, fino alla progressiva chiusura dell’area a caldo.

I PROFESSIONISTI DELLA POLITICA HANNO MANDATO A MONTE UNA LEGGE ELETTORALE CHE NESSUNO DI LORO VOLEVA

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Dal livello di schiamazzi e osservando le galline che cantano è evidente che i professionisti della politica sono riusciti perfettamente nell’intento di mandare a monte una legge elettorale che nessuno di loro voleva, facendo ricadere l’orrida colpa sull’unica forza politica che attualmente tiene vivo il nostro Paese.

Sul merito è già stato ampiamente spiegato come l’emendamento galeotto fosse a prima firma dell’on. Biancofiore di Forza Italia e che era stato presentato un altro identico da parte del MoVimento 5 Stelle. Era stato inoltre ampiamente annunciato, come per tutti gli
altri proposti dal M5S, che questo emendamento sarebbe stato votato dai proponenti e dal Parlamento, che è sovrano e va rispettato sempre non solo quando vota la fiducia ai governi guidati dal Partito democratico.

Nessuno – e sottolineiamo nessuno – ha obbligato i deputati a votare favorevolmente a questo emendamento. Come fanno sempre con le proposte di buon senso avanzate dal MoVimento 5 Stelle, avrebbero potuto bocciare tranquillamente anche questo emendamento, avendo la maggioranza dei seggi. Quindi è facile capire che gli affossatori di questa legge elettorale, abilmente celati dietro il voto segreto, vanno cercati fra quei parlamentari di maggioranza che possono fare la differenza. Non certo fra l’ottantina di deputati del M5S! Se patto c’era doveva esser rispettato anche dall’on. Biancofiore e da Forza Italia, ma stranamente i dem attaccano solo il M5S. Non puntano il dito infatti contro i loro stessi compagni di partito o contro i loro “amici” di sempre.

Come avviene fin dal primo giorno di insediamento, il M5S continua a essere impegnato nello smascherare la doppia faccia del “politicume” che da troppo tempo imperversa in Italia e queste ultime vicende non fanno che riaffermarlo. Fingono di essere diversi e migliori degli altri ma poi abbiamo il centrodestra che istituisce Equitalia per vessare cittadini e piccole imprese e il centrosinistra che abolisce l’articolo 18 a tutela dei lavoratori, la sanità pubblica viene sempre più penalizzata a fronte di quella privata, la scuola pubblica sta facendo la stessa fine, mentre il leader del centrodestra fonda il partito animalista, PD e Forza Italia sparano agli animali.

La gente è stufa di ascoltare annunci roboanti e accuse pretestuose, ma questa classe politica si vede sbriciolare il terreno sotto ai piedi e reagisce in modo scomposto. Non ci resta che incoraggiarli a continuare così e a tenere la barra dritta sul merito delle cose affinché, dalle macerie in cui stanno riducendo il nostro Paese, possa rinascere quell’Italia piena di ingegno e risorse che tutti amiamo.