MOZIONE SULLA VARIANTE DI DIGNANO
LA LEGGE SUL SERVIZIO IDRICO CALPESTA IL PRINCIPIO DI ACQUA COME BENE PUBBLICO
Giustamente il coordinatore regionale di Sinistra Ecologia Libertà, Marco Duriavig, ieri ha sostenuto che “è compito di tutta la politica regionale agire da subito per rafforzare la nostra specialità e rivendicare le competenze sulla gestione dell’acqua”. L’esponente di spicco di Sel, inoltre, ha bocciato gli interventi normativi nazionali e regionali che puntano a ledere il principio di “acqua bene comune”, votato da milioni di cittadini italiani nel referendum del 2011. Una presa di posizione che però sembra una barzelletta! Come fa Duriavig a non sapere che proprio il capogruppo di Sel in Regione, Giulio Lauri, è tra i firmatari della legge sulla organizzazione delle funzioni relative al servizio idrico integrato e al servizio di gestione integrata dei rifiuti?!
Durante la discussione in Commissione il consigliere Lauri ha detto, infatti, di apprezzare il lavoro fatto per arrivare alla stesura di questa proposta di legge che tratta materie complesse, rispetto alle quali la competenza regionale è limitata anche dalla necessità di rispettare sia la normativa nazionale che quella comunitaria. “Le preoccupazioni manifestate sono comprensibili – ha detto Lauri – soprattutto in merito alla futura gestione di un bene come l’acqua, ma rimanere nell’inerzia costituirebbe un grave errore ed è necessario affrontare questioni come la depurazione, gli scarichi, l’approvvigionamento delle falde senza rimandare ulteriormente per evitare il rischio che si arrivi alla mercificazione dell’acqua, alla privatizzazione totale e all’assoggettamento alle sole regole del mercato”.
A parole Lauri “ritiene corretto definire un sistema di governo il più possibile pubblico lasciando ai comuni la scelta della gestione tenendo, però, conto delle specificità territoriali e delle difficoltà delle piccole comunità locali”.
Una vera e propria “supercazzola” per nascondere che il capogruppo di Sinistra Econologia Libertà vuole far approvare in Consiglio regionale una proposta di legge che calpesta il principio di “acqua bene comune”, un provvedimento impreciso, calato dall’alto, poco democratico e incapace di tutelare i singoli territori del Friuli Venezia Giulia. Con queste premesse, crediamo che Duriavig abbia tutti gli elementi per sfiduciare il suo “collega” di partito Giulio Lauri.1515
LEGGE SUI BENI COMUNI DIMENTICATA: L’IPOCRISIA DI LAURI E GRATTON
A giugno 2015 il Gruppo Sinistra Ecologia Libertà in Consiglio regionale ha depositato una proposta di legge sui beni comuni, che voleva “creare un rapporto diretto tra operatori dell’economia solidale e istituzioni: un doveroso riconoscimento istituzionale – sosteneva allora il primo firmatario Gratton – ad una realtà sempre più attiva sui territori e nelle comunità”. Una legge identica a quella proposta dal Forum per i Beni comuni del FVG con cui, dall’inizio della legislatura, avevano fatto un percorso condiviso più Consiglieri regionali appratenti a diversi schieramenti politici (M5S, Pd, Sel). Nonostante questo la legge fu presentata allora in beata solitudine da Sel, senza condividerla con gli altri consiglieri regionali, probabilmente solo per farsi belli con il Forum per i Beni comuni e l’Economia solidale del Friuli Venezia Giulia.
Sono trascorsi più di 8 mesi e purtroppo la legge depositata da Gratton giace ancora in qualche cassetto. L’aspetto tanto curioso quanto incredibile sta nel fatto che le sorti della legge sui beni comuni sta nelle mani dello stesso Gratton, presidente della II Commissione consiliare, che non ha ancora calendarizzato la discussione di questo testo. Perché? Non è dato sapere…
Intanto Gratton, spinge a parole la ricostituzione della filiera della canapa e si rende disponibile a partecipare a convegni sulla canapa industriale, ma si dimentica casualmente di calendarizzare la nostra proposta di legge, che chiede proprio questo.
Allo stesso tempo, pur stando sotto la bandiera di Sinistra Ecologia Libertà, il Capogruppo in Regione Giulio Lauri propone e si fa approvare emendamenti che tolgono la salvaguardia dai bacini idrografici di estensione minore, vota contro la chiusura dell’area a caldo della Ferriera di Servola (mentre i loro colleghi di partito nel Consiglio comunale di Trieste sono favorevoli), firma e sostiene la proposta di legge sull’Organizzazione delle funzioni relative al servizio idrico integrato e al servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, nonostante le perplessità manifestate dei rappresentanti nazionali di Sel, le forti preoccupazioni di circa quaranta sindaci della nostra Regione e l’inequivocabile volontà espressa dai cittadini con il Referendum del 2011 dove chiedevano la gestione dell’acqua come bene comune.
Basta con questa ipocrisia. Per Lauri e Gratton è ora di scivolare una volta per tutte dentro il Partito democratico!
LEGGE SUL SERVIZIO IDRICO E RIFIUTI IMPOSTA CON METODI ANTIDEMOCRATICI
Questa mattina abbiamo partecipato a Udine alla conferenza stampa intitolata “L’acqua nelle proposte di legge regionale e statale: bene comune o merce?” per riaffermare ancora una volta tutta la contrarietà del MoVimento 5 Stelle alla proposta di legge sulla organizzazione delle funzioni relative al servizio idrico integrato e al servizio di gestione integrata dei rifiuti. Un testo frettoloso, impreciso, calato dall’alto, poco democratico e incapace di tutelare i singoli territori.
Abbiamo chiesto il rinvio della discussione e votato contro questo provvedimento, che di speciale non ha nulla e che potrebbe esserlo davvero se solo la politica lo volesse invece di accettare i diktat romani.
Inoltre si è preferito un metodo scarsamente democratico. Basti pensare che durante la discussione in Commissione non era presente neppure il direttore del Servizio disciplina servizio idrico integrato, gestione risorse idriche, tutela acque da inquinamento della Regione. L’ufficio che avrebbe dovuto esprimere i dovuti pareri tenici sugli emendamenti presentati dalle varie forze politiche.
Assenti – purtroppo – anche alcuni dei comitati dei cittadini e alcuni sindaci che avrebbero voluto spiegare le loro ragioni. Boem, presidente della IV Commissione, ha ritenuto anche questi contributi del tutto inutili!
Il risultato finale di questo provvedimento, che ha visto in commissione come unico voto contrario quello del MoVimento 5 Stelle, sarà devastante. Con una Autorità unica chiamata a governare, a livello regionale, sia il servizio idrico che la gestione integrata dei rifiuti, il Friuli Venezia Giulia finirà per accentrare le decisioni e calpestare il sacrosanto desiderio di autonomia espresso in modo più che legittimo da alcuni territori di questa regione.
DENUNCIA DEL M5S: MILIONI DI EURO BUTTATI PER UNA STRUTTURA INUTILIZZATA
Cattedrali nel deserto, progetti mai andati a buon fine, soldi pubblici spesi male, giovani in fuga. Avevamo già invitato la giunta Serracchiani un anno e mezzo fa a fare luce su questi casi invece di focalizzarsi solo sulle iniziative positive che imprenditori della nostra Regione sono riusciti a realizzare con i fondi pubblici. Ovviamente siamo rimasti inascoltati e da pochi giorni è tornato alla ribalta il caso della Centrale a biomasse di Sauris, sulla quale abbiamo predisposto un’interrogazione per capire come sia stato possibile erogare tutti quei soldi senza che la centrale fosse mai entrata in funzione.
Il progetto di teleriscaldamento era tra quelli previsti dal cosiddetto “Obiettivo 2”, per il finanziamento dei quali venne istituito un fondo speciale presso la finanziaria regionale Friulia. Le indagini della Procura, già “attenzionata” dall’amministrazione regionale, erano state avviate nel 2012. Perché, allora, solo dopo quasi quattro anni si torna a indagare sulla stessa vicenda?
Stessa sorte potrebbe avere anche un altro progetto – di sicuro non sarà l’ultimo – che doveva essere realizzato a Tolmezzo: un importante centro per l’agroalimentare dell’Alto Friuli presso l’edificio “ex Rilcto” della comunità montana. Nel 2006 grazie ai fondi europei Inter-reg Italia-Slovenia è stato realizzato, infatti, un impianto di imbottigliamento del latte bovino, caprino ed ovino, mai entrato effettivamente in funzione. Stiamo parlando di un investimento – dichiarato – di oltre 500 mila euro con gli impianti che dovrebbero essere ancora presenti dove nel 2008 vennero presentati al pubblico.
Successivamente, nello stesso stabile qualcuno pensò bene di realizzare un centro per la conservazione, trasformazione e lavorazione dei prodotti ortofrutticoli. Negli anni, per la manutenzione straordinaria dell’edificio sono stati stanziati 480 mila euro previsti nel Piano Regionale Sviluppo Montano 2007 – 2009, mentre per la ristrutturazione dell’edificio da destinarsi a centro di riferimento agroalimentare sono stati appaltati tre lotti di lavori. Un primo lotto di lavori nel 2007 per 635.350 euro, un secondo lotto nel 2012 per 700 mila euro, e infine venne inserito nel programma triennale un terzo lotto per 1,3 milioni di euro, per il quale inizialmente erano previsti solo un milione e 50 mila euro.
A distanza di tanto tempo l’edificio è ancora inutilizzato. Come al solito ci si chiede quante persone avrebbero potuto lavorare all’interno di queste strutture in tutti questi anni e infine quanti giovani son stati invece costretti ad abbandonare la montagna perché non ci sono investimenti mirati a creare occupazione.
SERVIZIO IDRICO E RIFIUTI: CI VUOLE CORAGGIO AD AFFERMARE CHE NON AUMENTERANNO LE TARIFFE
«Ci vuol coraggio a cercare di far passare l’idea che l’approvazione della nuova legge non comporterà alcun aumento di tariffe. Se è vero che razionalizzando il numero delle autorità d’ambito da cinque a una si potranno avere dei risparmi dal punto di vista gestionale, è anche vero che si andranno a perdere delle competenze specifiche, ma soprattutto che si livelleranno anche tutte le tariffe». A sostenerlo è il portavoce del MoVimento del 5 Stelle in Consiglio regionale Cristian Sergo (M5S), relatore di minoranza della proposta di legge.
Come sostenuto dalle associazioni dei consumatori intervenute in sede di audizione, nella nostra Regione c’è una forte disparità tra le tariffe – quelle idriche ma anche quelle sui rifiuti -, con la conseguenza che un’unica autorità dovrà inevitabilmente apportare modifiche a questa situazione. «L’esperienza – continua Sergo – dovrebbe portarci ad affermare che non sarà chi paga qualcosa in più a risparmiare, ma, al contrario chi ha tariffe vantaggiose si vedrà aumentare la bolletta».
E’ la legge del mercato, ma non potrebbe essere altrimenti atteso che lo scopo principale di questa norma è individuare modalità e finanziamenti per realizzare opere. «Alcune opere è giusto farle, altre, come abbiamo più volte sottolineato in questi anni sarebbe del tutto superfluo realizzarle, con l’unico vantaggio per le società che si aggiudicherebbero gli appalti, non certo degli utenti che le pagherebbero».
«Se ci dovessimo sbagliare – sostiene il portavoce pentastellato – saremo ben contenti di vedere approvate le nostre proposte in Aula che, tra le altre, mirano a far assumere dalla maggioranza proprio l’impegno che “con l’introduzione della legge non aumenteranno le tariffe“. Vedremo allora chi è che si diverte a fare annunci e propaganda e chi invece fa proposte serie per il bene della Regione e dei suoi cittadini».
«Come già chiesto in commissione – conclude Sergo – sarà opportuno che il centrosinistra ritiri questa legge, attui un percorso davvero partecipativo, attenda le decisioni del Parlamento che in questi giorni sta discutendo una legge proprio su queste tematiche, altrimenti non si stupisca di trovare lo stesso tipo di avversione da parte di territori, cittadini e sindaci che ha già trovato con la legge sulle Uti. La nostra l’ha già sperimentata in commissione essendo stati quelli del MoVimento 5 Stelle gli unici voti contrari».
NUOVO BUCO DI 22 MILIONI DI EURO RISCHIA DI PESARE SUL PIANO INDUSTRIALE
«Oggi abbiamo apprezzato l’inedita cortesia istituzionale dell’assessore Peroni che ci ha permesso di avere in anteprima i dati di bilancio 2015 di Mediocredito che va, in parte, a compensare la mancata pubblicazione dei risultati semestrali. Purtroppo però, ancora una volta, dobbiamo mettere in evidenza l’estrema riluttanza nel rispondere a domande precise». Questo il commento della portavoce del MoVimento 5 Stelle in Consiglio regionale Elena Bianchi che questa mattina ha partecipato ai lavori della I Commissione consiliare regionale.
«Non è stato possibile sapere, infatti, quanto il nuovo buco di 39 milioni di euro (22 milioni in più del previsto) e la decisione di liberarsi definitivamente dei 350 milioni di sofferenze finiranno per influenzare il Piano industriale che prevedeva il pareggio di bilancio al 2016. Peroni, inoltre, non ha specificato se queste decisioni portino alla necessità di una ricapitalizzazione di Mediocredito».
«Altro mistero insondabile il fatto che non sia ancora stata fatta azione di responsabilità in merito alle gestioni precedenti, quelle – conclude Bianchi – che hanno autorizzato gli impieghi che stanno producendo il 95% delle sofferenze che la spa sta cercando faticosamente di alienare».
CHIUSURA PUNTO NASCITA DI LATISANA: UNA DECISIONE POLITICA CHE IL PD CERCA DI FAR PASSARE PER TECNICA
Dopo aver messo, per più di un anno, uno contro l’altro due territori, decretando nel dicembre del 2014 la chiusura di un punto nascita e di una pediatria tra Latisana e Palmanova senza però decidere quale, il Partito democratico ha messo nelle mani del direttore generale la delega per chiudere Latisana, cercando di far passare per tecnica una decisione che in realtà è esclusivamente politica!
Sul “caso Latisana” il Pd ha tradito tutte le promesse fatte in questi mesi ai cittadini della nostra Regione!
La giunta della presidente Debora Serracchiani, non ha “garantito nel periodo transitorio le condizione adeguate allo svolgimento del servizio”, così come si era impegnato a fare con la mozione di maggio 2015. L’organico dei due reparti di pediatria di Latisana e Palmanova, infatti, è stato volutamente prosciugato di quattro unità negli ultimi due anni per la mancata volontà di stabilizzare le persone assunte a tempo determinato. Si è continuato inoltre, per oltre due anni, a tenere chiuso il nuovissimo reparto materno infantile, costringendo i professionisti a lavorare in un reparto di ostetricia dove per ben due volte nell’ultimo anno si sono verificate infiltrazioni di acqua piovana.
Non si è voluto poi tenere nella debita considerazione il trend crescente dei parti, che fanno prevedere il superamento della soglia dei 500 parti/anno, non rispettando l’impegno della mozione nella parte in cui chiedeva di basarsi per le scelte “non solo sui dati attuali ma anche sulle prospettive di sviluppo”, si sono trascurati inoltre i dati del Pronto soccorso pediatrico nel 2015: Latisana 4840, di cui 238 osservazioni temporanee (cioè bambini trattenuti fino a 24-36 ore) mentre a Palmanova si sono avute 3635 visite al Pronto soccorso di cui 134 osservazioni temporanee.
Ancora: il Pd non ha tenuto nella giusta considerazione la posizione geografica strategica di Latisana, garanzia di un equo accesso alle cure sanitarie, principio che – ricordiamo – ha ispirato la riforma sanitaria regionale.
Nonostante tutto questo, oggi il direttore generale Pilati racconta che, a seguito della carenza di pediatri, bisogna sospendere l’operatività del punto nascita di Latisana, perché non sarebbe possibile garantire gli standard di sicurezza, quando ci sono ben 16 domande per il concorso a tempo indeterminato – già scaduto lo scorso 21 gennaio – che aspettano soltanto di svolgere la prova d’esame per poter poi ricoprire i posti vacanti nell’organico.
Evidentemente la giunta Serracchiani ha affidato il “lavoro sporco” al direttore generale che ha pensato di fare un regalo ai cittadini della Bassa friulana in occasione della “Festa della donna”, deliberando la chiusura del punto nascita e del reparto di pediatria. E pensare che l’esecutivo regionale, dopo aver sospeso la delibera del 16 dicembre con cui il direttore generale disponeva la chiusura del punto nascita, aveva “promesso” più volte una decisione politica sulla questione!
Come è sotto agli occhi di tutti sul “caso Latisana” la presidente Serracchiani, l’assessore Telesca e il Partito democratico non hanno mantenuto nemmeno una delle molte promesse fatte, anche se c’è ancora chi va in giro dicendo che quando c’è da decidere Serracchiani ci mette la faccia! Evidentemente con l’avvicinarsi della campagna elettorale il Pd ha preferito delegare il “lavoro sporco” ai tecnici!
La presidente Serracchiani si lamenta spesso dell’antipolitica; se lei e il Pd finissero di prendere in giro tutti, forse i cittadini avrebbero un’idea più alta della politica e una stima maggiore nei confronti di chi ricopre importanti ruoli di responsabilità!
CENTRALE TERMOELETTRICA DI MONFALCONE: LA SERRACCHIANI HA SPRECATO DENARO PUBBLICO PER UNO STUDIO ASSURDO
Abbiamo buttato soldi pubblici per fare uno studio che avrebbe dovuto trovare le correlazioni tra i tumori e la centrale termoelettrica di Monfalcone. Uno studio che, come minimo, avrebbe dovuto basarsi sugli inquinanti emessi dalla centrale come mercurio, arsenico, cadmio, ed altri metalli pesanti, pm 2,5 o le pm pesanti. Inquinanti riconosciuti, quindi, come cancerogeni e che, come tutti sanno, escono dal camino della centrale.
E invece no! Lo studio presentato da una schiera di politici e di tecnici in pompa magna ha preso in considerazione gli inquinanti come le pm10, il benzene il biossido di azoto e i biossidi di zolfo. Ovvie a questo punto le conclusioni di questa indagine: i cittadini dell’Isontino muoiono di cancro per colpa del traffico e del riscaldamento domestico! La centrale termoelettrica evidentemente sputa rose e fiori dal camino e non incide assolutamente sulla mortalità degli abitanti dei 14 comuni esaminati! È risaputo, infatti, che le pm 2,5 non sono assolutamente responsabili di tumori, così come non esiste alcuna correlazione tra i microinquinanti e i tumori.
Ci domandiamo se veramente credono di avere a che fare con dei cittadini con l’encefalogramma piatto?!
Purtroppo, però, non c’è nulla su cui scherzare. Una centrale a carbone, come quella di Monfalcone, produce 67 sostanze inquinanti. Di queste 55 sono note per la loro capacità di interferire patologicamente con lo sviluppo del sistema nervoso. Di queste 55 sostanze inquinanti, ben 24 sono sostanze carcinogene dimostrate, possibili o probabili. Dunque polveri del tipo pm10 e pm2, benzopirene, diossine, benzene, ossidi di zolfo, ossidi di azoto, microinquinanti inorganici come cadmio, cromo, piombo, mercurio, arsenico, vanadio, manganese, nichel, berillio e cobalto. E le correlazioni di questi inquinanti con i tumori è nota a tutti, tranne forse a chi, ieri, ha proposto quella cosa che non possiamo definire “studio epidemiologico”.
Siamo sinceramente delusi e profondamente arrabbiati con la giunta Serracchiani, perché riteniamo che quella di ieri sia stato l’ennesimo teatrino, propaganda politica e niente più. Della serie: “Siamo bravi, belli, abbiamo rispettato gli impegni presi”. Noi del MoVimento 5 Stelle ci opponiamo invece a questa versione della storia. Chi amministra questa Regione non ha rispettato gli impegni presi, perché non ha valutato le sostanze inquinanti emesse da quel camino e ha risposto in maniera molto superficiale alle domande poste da migliaia di cittadini.
Dopo quanto accaduto ieri, invitiamo la sindaca di Monfalcone e l’assessore regionale all’Ambiente a farsi una casetta sulla bocca del camino così da poter respirare l’aria migliore del Monfalconese!
IL M5S BOCCIA LA PROPOSTA DI LEGGE SUL SERVIZIO IDRICO E LA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI
PUNTI NASCITA: CHIEDIAMO ALL’ASSESSORE TELESCA CHE RENDA PUBBLICI I DATI SULLA SICUREZZA E RISPETTO DEGLI STANDARD PRESSO I PUNTI NASCITA DELLA REGIONE
Dopo aver tergiversato troppo a lungo, a breve la giunta Serracchiani si assumerà finalmente le proprie responsabilità e deciderà quale Punto nascita e quale Pediatria dovrà chiudere tra Latisana e Palmanova. A riguardo crediamo che l’assessore Telesca non possa non tenere in considerazione il fatto che, durante la discussione in Consiglio regionale, tutti i medici presenti in Aula abbiano preso chiaramente posizione, perorando la causa di Latisana. Una presa di posizione trasversale che è andata al di là degli orientamenti politici.
D’altronde è giusto ribadire che, visto il trend dei parti negli ultimi 6 mesi e considerato il numero di pediatri (16) che hanno risposto al concorso a tempo indeterminato (già scaduto il 22 gennaio scorso), sono venute meno le giustificazioni portate avanti fino ad oggi dalla giunta Serracchiani in merito alla chiusura del Punto nascita di Latisana. Ci auguriamo pertanto che l’assessore Telesca, qualunque sia la scelta che prenderà, fornisca delle valide motivazioni a sostegno di una decisione così delicata.
Prima di emettere la “sentenza capitale” sarebbe infatti opportuno che l’assessore renda pubblici i dati sulla sicurezza e sul rispetto degli standard presso tutti i punti nascita della Regione. Lo avevamo già chiesto nel 2014 ma ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta e per questo abbiamo deciso di ripresentare in questi minuti l’ennesima interrogazione! È fondamentale fare chiarezza sulle “performance” di ciascun ospedale! Se è vero, infatti, che i tassi di mortalità infantile in entrambi i punti nascita dell’ex ASS5 risultano essere estremamente bassi e inferiori alla media nazionale, è altrettanto vero che c’è ancora molta ambiguità sui lavori strutturali necessari per il rispetto degli standard a Palmanova.
Ci chiediamo inoltre se corrisponde al vero che presso la sede di Palmanova – dove si registra una delle percentuali più basse di parti cesarei in Italia su cui è stata avviata una procedura di valutazione (fonte tabelle Agenas) – vi sia un elevato numero di trasferimenti presso la terapia intensiva neonatale rispetto agli altri ospedali regionali. Se tale dato fosse confermato sarebbe preoccupante!
Il numero di trasferimenti in emergenza neonatologica rappresenta un fondamentale indicatore che verifica la qualità e la sicurezza dell’operato in sala parto e del precedente percorso nascita.
Se, nonostante la distanza dagli altri ospedali e il permanere della chiusura di Portogruaro, il Punto nascita e la Pediatria di Latisana verranno chiusi, adducendo il fatto che nel 2015 è stato registrato un numero di parti leggermente inferiore alla soglia dei 500 parti (per l’esattezza 445), vorrà dire che si sarà dato più peso a un decreto ministeriale che alla vita delle donne e dei loro figli.
SCUOLA: STIPENDI IN RITARDO PER CENTINAIA DI DOCENTI PRECARI
«Anche nel Friuli Venezia Giulia sono centinaia i docenti precari della scuola che da mesi stanno attendendo di ricevere lo stipendio. È l’ennesima figuraccia del governo Renzi. È vergognoso che perdano tempo nel rimpallarsi le responsabilità fra ministero del Tesoro, quello dell’istruzione e quello dell’Economia». La portavoce del MoVimento 5 Stelle in Consiglio regionale, Eleonora Frattolin, mostra tutta la sua indignazione nei confronti dell’esecutivo nazionale, a guida Partito democratico, incapace di risolvere una volta per tutte questa situazione.
«Stiamo parlando di cittadini che sono sempre al loro posto di lavoro, con la loro professionalità e dignità e che, nonostante uno Stato inadempiente, continuano a pagare le tasse, il canone Rai e il mutuo della casa».
«Prima di Natale – ricorda Frattolin – il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan avevano firmato il decreto che stanziava i fondi necessari per il completamento dei pagamenti relativi alle supplenze degli ultimi mesi del 2015 e per assicurare la regolarità dei pagamenti del 2016. Forse il decreto è andato perduto?».
«Il MoVimento 5 Stelle si sta battendo a tutti i livelli in difesa dei diritti del personale precario tramite interrogazioni e interventi. È una situazione inaccettabile che oltretutto viola palesemente l’art.3 della nostra costituzione vista la disparità di trattamento tra precari e insegnanti di ruolo. Il contratto degli insegnanti precari, a differenza dei colleghi di ruolo, non prevede infatti permessi o ferie retribuiti, permessi per diritto allo studio e il bonus per la formazione dei docenti».
«Come se non bastasse il governo Renzi ha anche pubblicato il bando del concorso per i docenti nel quale si prevede la stabilizzazione a ruolo di un quarto dei precari. Una vera e propria azione di propaganda politica con la quale l’esecutivo nazionale si vanterà di aver stabilizzato i precari. La verità è che tre quarti dei precari continueranno a insegnare come supplenti!».
«Il concorso, inoltre, costerà ben 300 milioni di euro. Un insulto quando non si trovano neppure le risorse economiche per gli stipendi. Non possiamo tacere alla negazione continua dei diritti. Chi lavora deve essere retribuito regolarmente. D’altra parte – conclude Frattolin – le pensioni d’oro, i vitalizi e gli stipendi dei deputati e dei ministri vengono pagati sempre e con grande puntualità!».
ASSURDO CHE IL PRESIDENTE DEL CAFC INSISTA SUL PROGETTO DELL’ACQUEDOTTO
«Il presidente del Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale ha gettato la maschera. Eddi Gomboso, intervenuto in IV commissione consiliare per le audizioni sulla proposta di Legge n. 135 a prima firma Boem (Pd), ha attaccato infatti il libero utilizzo da parte dei cittadini dei pozzi artesiani della Bassa pianura friulana e pordenonese. Un attacco scomposto ma che ha fatto chiarezza sulle reali intenzioni dei vertici del Cafc in merito alla realizzazione dell’inutile acquedotto». Il portavoce del MoVimento 5 Stelle in Consiglio regionale Cristian Sergo commenta così le dichiarazioni di Gomboso.
«Il presidente del Cafc considera l’approvvigionamento da pozzo artesiano una sorta di “deregulation strana” quando invece il prelievo dai pozzi è previsto dalla legge e né il Cafc né la Regione possono obbligare i cittadini ad allacciarsi all’acquedotto – sottolinea Sergo -. Durante il suo intervento in Consiglio regionale, inoltre, il Presidente ha parlato esplicitamente di “problema dei pozzi artesiani da risolvere”, ricordando come da 35 anni si parla di dotare di un acquedotto la Bassa friulana. Gomboso è arrivato a dire che non si è fatto un “tubo” in tutto questo tempo, rimarcando infine la necessità che la Regione “prenda il toro per le corna” e affronti questo problema una volta per tutte».
«Nonostante i continui attacchi subiti, noi sosteniamo da diverso tempo che questo è il fine ultimo dietro le norme per la strozzatura dei pozzi. Un anno fa, grazie al nostro intervento, abbiamo evitato ai cittadini friulani una spesa tanto folle quanto inutile già prevista nel Piano d’ambito trentennale. Il MoVimento 5 Stelle – ricorda il consigliere regionale – è riuscito infatti a far modificare il Piano, prevedendo interventi meno costosi e più facilmente realizzabili per risolvere i problemi – laddove presenti – legati alla qualità dell’acqua».
«Eppure quel piano non l’ha scritto Gomboso o il Cafc ma l’hanno votato tutti i sindaci dell’assemblea. Non l’ha scritto nemmeno l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito, la quale – aggiunge Sergo – solo pochi giorni fa in Aula rassicurava i consiglieri affermando che “non c’è mai stata una volontà di arrivare alla chiusura dei pozzi artesiani, o di fare una battaglia contro i pozzi, o di “acquedottizzare” o di compromettere determinate sensibilità territoriali”. Eppure – conclude il portavoce M5S – sembrano ogni giorno più evidenti i reali obiettivi di chi gestisce un bene prezioso come l’acqua nella Bassa friulana
INTERVENTO DI CRISTIAN SERGO SUL DDL 129 – SETTORE TERZIARIO
Presidente, do per letta la relazione al Disegno di Legge che abbiamo depositato, sorvolando gli aspetti meramente tecnici, di adeguamento a normative statali o alle Intese Stato-Regione raggiunte.
Con questa proposta è intenzione della Giunta emanare una legge per regolamentare gli orari e le giornate di apertura e chiusura dei negozi nella nostra Regione.
Infatti, per risolvere i problemi del Paese con il Decreto Salva Italia del Governo Monti nel dicembre 2011 è stata introdotta la cosiddetta liberalizzazione selvaggia del settore commerciale, dando la possibilità ai negozi di rimanere aperti sette giorni su sette e, volendo, 24 ore su 24. L’amministrazione regionale era ben consapevole di quanto sarebbe accaduto con l’introduzione di tale normativa e dopo pochi mesi, insieme alle Regioni Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna e Toscana, decise di sollevare questione di legittimità costituzionale avverso il Decreto del Governo. Tutti i ricorsi vennero successivamente respinti dalla Corte Costituzionale che confermà la legittimità dell’intervento governativo in quanto venne riconosciuta l’esclusiva potestà legislativa in materia di concorrenza allo Stato e non alle Regioni come erroneamente sostenuto nei ricorsi. Purtroppo, a distanza di quattro anni da quel pronunciamento non possiamo che confermare le nefaste previsioni delle amministrazioni ricorrenti su quelli che sarebbero stati gli esiti di tale riforma.
Abbiamo troppe volte sentito argomentare come la necessità di addivenire alla deregolazione in ambito commerciale fosse un’imposizione della Comunità Europea, soprattutto per adeguarsi a quanto previsto dalla Direttiva Bolkestein. Eppure, con riferimento al principio comunitario di libera prestazione di servizi è stato ormai accertato che le normative nazionali sui giorni ed orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali non sono incompatibili con le disposizioni del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea e la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006.
Già nel 2012 la Regione Veneto ricordava che il diritto di stabilimento nei Paesi membri è riconosciuto agli operatori economici senza discriminazioni, ma pur sempre nel rispetto delle specifiche normative nazionali riguardanti i motivi imperativi di interesse generale, per la tutela dei quali è consentito uno spazio di operatività per il diritto interno e, dunque, anche per la legislazione regionale.
Per questi motivi dall’inizio di questa XVII legislatura presso il Parlamento Italiano (accanto ad una proposta di legge di iniziativa popolare) sono state presentate numerose proposte di legge con cui diverse forze politiche hanno chiesto di rivedere l’introdotta liberalizzazione nel settore commerciale. I lavori parlamentari hanno portato all’approvazione nella Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati di un testo unificato che prevede l’obbligo di chiusura dei negozi in dodici festività, permettendo ad ogni imprenditore di derogare fino a un massimo di sei giornate di chiusura, previa comunicazione al comune competente.
Se questa soluzione, frutto di un compromesso tra i partiti ci appare del tutto insufficiente, tale deve apparire anche agli occhi della Giunta Regionale che con il presente Disegno di Legge sostiene la necessità di chiudere i negozi obbligatoriamente in nove delle dodici festività riconosciute, senza deroghe.
Richiamando quanto sin qui riportato, risulta del tutto limitativo non affrontare il vero problema che ha creato una significativa disparità tra i grandi negozi e quelli più piccoli, ovvero la possibilità per i Grandi Centri di poter rimanere aperti sette giorni su sette. Nelle intenzioni del Governo questa doveva essere una misura ditutela della concorrenza. Invece, come la stessa Regione Friuli Venezia Giulia evidenziava già nel suo ricorso del 2012, tale misura si è rivelato un fattore distorsivo. Secondo l’amministrazione la norma avrebbe finito per avvantaggiare gli operatori più grandi che per la ampiezza e complessità della loro organizzazione sarebbero stati in grado di mantenere l’apertura per sette giorni su sette e per un orario non limitato, rispetto agli operatori familiari o comunque minori, che, per limiti di personale, non potrebbero competere, neppure sottoponendosi ad un regime di autosfruttamento. Regime che contraddirebbe il diritto costituzionale al riposo. Non avrei saputo dirlo meglio…
A distanza di pochissimi anni i risultati di quanto profetizzato nella nostra Regione si sono tradotti con la chiusura di migliaia di esercizi commerciali e un calo del fatturato pari al 14% per la piccola e media distribuzione di generi alimentari e -5,5% di generi non alimentari, a fronte di cifre ben più contenute per la Grande Distribuzione (-1,9% per i generi alimentari e – 3,5% per i generi non alimentari).
Con questo disegno di legge si evidenzia come, secondo il diritto comunitario, si possano prevedere alcuni limiti all’esercizio delle attività economiche, per motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei principi di proporzionalità e non discriminazione.
Ricordiamo che secondo i dettami della Corte di Giustizia per motivi imperativi di interesse generale sono intesi –tra gli altri- l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza, gli obiettivi di politica sociale, la tutela dei destinatari di servizi, la tutela dei consumatori, la tutela dei lavoratori, la prevenzione della frode, la prevenzione della concorrenza sleale, la protezione dell’ambiente urbano, la salvaguardia dei valori sociali, culturali, religiosi e filosofici.
È proprio sulla base di questi principi che riteniamo possibile e legittimo intervenire per regolamentare alcuni aspetti del settore terziario, che, altrimenti, andrebbero a ledere molti degli interessi generali sopra richiamati.
Direttiva Bolkestein cosa dice? Dice che conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia tali motivi imperativi possono giustificare l’applicazione di regimi di autorizzazione e altre restrizioni.
Tuttavia, tali regimi di autorizzazione o restrizioni non dovrebbero discriminare in base alla nazionalità. Inoltre, dovrebbero essere sempre rispettati i principi di necessità e proporzionalità.
Al fine di coordinare la modernizzazione delle norme e regolamentazioni nazionali in modo coerente con le esigenze del mercato interno, è necessario valutare taluni requisiti nazionali non discriminatori che, per le loro caratteristiche proprie, potrebbero sensibilmente limitare, se non addirittura impedire, l’accesso a un’attività o il suo esercizio nell’ambito della libertà di stabilimento. Tale processo di valutazione dovrebbe essere limitato alla compatibilità di detti requisiti con i criteri già stabiliti dalla Corte di giustizia in materia di libertà di stabilimento. Esso non riguarda l’applicazione del diritto comunitario della concorrenza. Detti requisiti, qualora siano discriminatori o non giustificati obiettivamente da motivi imperativi di interesse generale o sproporzionati, devono essere soppressi o modificati. L’esito di tale valutazione sarà diverso a seconda della natura delle attività e dell’interesse generale considerati. In particolare, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, tali requisitipotrebbero essere pienamente giustificati quando perseguono obiettivi di politica sociale.
POLLI ALLA DIOSSINA: LA REGIONE NON LASCI SOLI I SINDACI CHE AVRANNO IL CORAGGIO DI TUTELARE I PROPRI CITTADINI
Prendiamo atto che in questo Paese il principio di precauzione non viene minimamente preso in considerazione. Nessuno si assume alcuna responsabilità. La stessa Ass 5 si è limitata a sconsigliare il consumo dei polli ai soli proprietari dei campioni analizzati, non dicendo alcunché a tutti gli altri residenti nella zona di possibile inquinamento ambientale.
Ricordiamo che le norme europee stabiliscono che per tali livelli di diossina le autorità preposte devono ricercarne le cause e rimuoverle. Vorremmo sapere come si possa anche solo pensare alla possibilità di andare ad aggravare una situazione già oggetto di monitoraggio speciale!
Le direttive europee sulla qualità dell’aria prevedono tra l’altro che si debba andare verso un miglioramento della qualità, non verso un peggioramento, come invece si profila nella situazione in esame quando il cementificio comincerà la combustione dei rifiuti, in quantità doppia rispetto all’attuale combustibile.
La stessa Autorizzazione integrata ambientale, infatti, prevede che, qualora sopraggiungano ulteriori elementi non considerati in sede autorizzativa, l’autorizzazione può essere rivista. La tutela della salute dei cittadini viene prima di tutto, anche della libertà e del diritto d’impresa.
Ci auguriamo che almeno la Regione non lasci soli quei sindaci che per una volta avessero il coraggio di prendersi la responsabilità di azioni preventive forti a tutela dei propri cittadini!
Alla replica dell’assessore che ci assicura che “se ci fosse qualche elemento grave che destasse preoccupazioni dal punto di vista ambientale prenderemmo i debiti provvedimenti”, ecco, noi ricordiamo che in questo Paese per le autorità preposte dal punto di vista della situazione ambientale va sempre tutto bene finché non si arriva al disastro. Utilizzando gli stessi termini consentiti alla presidente Serracchiani quando si rivolge a noi consiglieri: che si vergognino!
ERPAC: LA GIUNTA SERRACCHIANI NON HA VOLUTO COINVOLGERE IN MODO ADEGUATO TERRITORIO E ATTORI INTERESSATI
Pur comprendendo le motivazioni che stanno alla base di questo provvedimento di legge, come la razionalizzazione, l’efficientamento e la possibilità di cogliere l’opportunità dell’Art Bonus (che consente un credito di imposta, pari al 65% dell’importo donato, a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano) non possiamo non evidenziare le perplessità che ci rimangono.
Il metodo e le tempistiche imposte non hanno permesso un coinvolgimento adeguato del territorio e degli attori interessati nonché il corretto e approfondito lavoro della Commissione. Con queste tempistiche, in qualità di consiglieri regionali, non possiamo infatti contribuire adeguatamente al processo legislativo né votare con convinzione.
Inoltre, dal nostro punto di vista, come già sostenuto in sede di discussione della riforma degli Enti locali, cultura e sport andavano avvicinati al territorio e non accentrati dalla Regione. Se siamo in presenza di intoppi e resistenze al lavoro di rete, magari bisogna stimolarlo con incentivi invece di subentrare alla gestione. Pare proprio si voglia andare quasi in controtendenza rispetto alla linea nazionale che prevede l’autonomia funzionale dei musei!
Con la figura del direttore generale (nominato dalla giunta) e nonostante il comitato di indirizzo scientifico (che ricordo, però, essere composto in buona parte da elementi nominati dalla giunta e quindi di nomina politica) è evidente che la Regione diventa a tutti gli effetti attore delle politiche culturali.
Potremmo anche fidarci delle intenzioni di questa giunta, ma non ce la sentiamo di firmare una cambiale in bianco nei confronti di chi verrà dopo.
Detto questo non possiamo esimerci dal fare una battuta. Ci auguriamo, infatti, che questo nuovo ente non si riveli “omen nomen” ER-PAC!!
RINNOVO DELL’AIA ALLA CENTRALE TERMOELETTRICA DI MONFALCONE. LE ISTITUZIONI DEVONO ASSUMERE LE PROPRIE RESPONSABILITA’
Siamo tanto basiti, quanto stupiti dal rinnovo dell’Aia, per ulteriori 8 anni, concesso alla centrale termoelettrica di Monfalcone. Non sono serviti a nulla anni di battaglie, di interrogazioni inevase, di discussioni e di dibattiti! Aria fritta anche la previsione inserita nel piano energetico regionale di riconversione della centrale! Inutili anche gli studi epidemiologici e biomonitoraggi lichenici! Nonostante le smentite di facciata dell’intera classe politica regionale, l’installazione dei “denox” (il sistema di abbattimento degli ossidi di azoto sui gruppi a carbone) ha portato infatti al rinnovo automatico dell’autorizzazione integrata ambientale. E così, per i prossimi 8 anni, i cittadini di Monfalcone e dei comuni limitrofi dovranno continuare a subire l’inquinamento provocato dalla centrale.
A questo punto crediamo debbano dimettersi tutti coloro i quali erano, probabilmente, a conoscenza di questa proroga ma sono stati ben attenti a rivelarla pubblicamente. Devono andare a casa tutti quelli, che ricoprendo incarichi istituzionali, hanno il dovere di conoscere le norme vigenti e le gravi ripercussioni che esse provocano al nostro territorio. In primis deve dimettersi il sindaco di Monfalcone che oggi ha inviato alla stampa un comunicato mieloso e inconsistente per affermare la sua contrarietà al rinnovo automatico dell’Aia. Dov’era il sindaco, tutore della salute dei cittadini, in tutto questo periodo? Dov’era quando abbiamo sollevato il problema? Perché l’amministrazione regionale e quella comunale non hanno chiesto il riesame dell’Aia sulla base di quanto emerso con gli studi di biomonitoraggio?
Asfaltare così in modo antidemocratico le comunità locali, i territori e quelli che cercano, come noi del MoVimento5 Stelle, di proporre delle soluzioni condivise, è una pratica molto vicina alla dittatura.
Per questo devono chiedere scusa ai cittadini di Monfalcone. Noi avevano segnalato per tempo che tutto questo poteva accadere. È triste dire che ancora una volta – purtroppo – abbiamo avuto ragione!
BURLO A RISCHIO DECLASSAMENTO
«Dalla risposta alla nostra interrogazione sul trasferimento delle attività di laboratorio analisi dell’Irccs Burlo Garofalo all’Azienda Ospedaliero Universitaria di Trieste si evince che il rischio declassamento del Burlo è imminente». La denuncia è del portavoce del MoVimento 5 Stelle in Consiglio regionale Andrea Ussai.
«Nella riorganizzazione delle funzioni del laboratori – spiega Ussai – le possibili criticità non riguardano, infatti, solamente le attività di routine e di urgenza, tema già sollevato nei giorni scorsi, ma riguardano anche le attività di alta specializzazione che caratterizzano l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico pediatrico di Trieste. Come noto, in base a direttive aziendali, il laboratorio di citofluorimetria verrà trasferito entro il 30 giugno all’Ospedale Maggiore. Inoltre è stato lo stesso assessore a confermare che anche l’attività di congelamento e crioconservazione di cellule staminali, svolte attualmente presso il Burlo da personale interno, saranno affidate – con il parere favorevole della direzione del Burlo – al Dipartimento di Medicina trasfusionale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Trieste, che dovrà appena iniziare a formare degli operatori dato che non ha mai svolto tale attività».
«A parte qualche ragionevole dubbio sulla reale indipendenza delle figure dirigenziali nominate dalla politica che appoggiano tali scelte, come ad esempio il Consiglio di indirizzo del Burlo dove spicca il nome del sindaco del comune di Muggia – esponente di spicco del Partito democratico -, è doveroso chiedersi quale sia la posizione del Ministero della Salute sul fatto che il Burlo perda il controllo su attività di alta specializzazione, quali il congelamento e la crioconservazione delle cellule staminali, prerogative che lo stesso Ministero aveva raccomandato di mantenere in capo all’Irccs ben cinque anni fa, quando – specifica il portavoce del M5S – era iniziato il processo di riorganizzazione del servizio trasfusionale, iter che aveva portato anche alla perdita del coordinamento regionale della raccolta del sangue cordonale».
«Ci auguriamo che queste operazioni, che vengono fatte passare come miglioramento della qualità per fare il bene del Burlo, non portino invece al suo declassamento e alla perdita del riconoscimento di Irccs, trasformandolo semplicemente – conclude Ussai – nel reparto di pediatria e di ostetricia e ginecologia del futuro ospedale di Cattinara»