Migliorare il livello della ristorazione ospedaliera, valorizzando nel contempo le produzioni locali. Su questo tema si è incentrata la conferenza stampa organizzata dal MoVimento 5 Stelle, che presenterà una mozione per la promozione di un filiera regionale per garantire qualità dei pasti per degenti e operatori sanitari e sostenere l’economia del Friuli Venezia Giulia. “Una relazione dell’Università di Trieste, effettuata nel 2018 sugli alimenti serviti negli ospedali – ha spiegato il consigliere M5S Andrea Ussai, primo firmatario della mozione –, ha portato alla luce una situazione particolarmente critica: perdita delle proprietà nutritive, sviluppo di composti ossidati e odori sgradevoli caratterizzano i pasti serviti in provincia di Trieste ma che verosimilmente riguardano anche altri ospedali che utilizzano la stessa modalità di preparazione”.
“Ormai da una decina di anni siamo in una situazione di proroga dell’appalto a Serenissima, ditta veneta che fornisce i pasti negli ospedali di Trieste e non solo” ha aggiunto Ussai. La relazione dell’Università rileva criticità sia negli ‘alimenti refrigerati, prelevati dalle celle frigo prima della rigenerazione’ (“questo sistema ‘cook and chill’ consente la conservazione dei prodotti anche per 30 giorni nella struttura prima del consumo, quando le linee guida nazionali e internazionali parlano di un massimo di 5 giorni” ha sottolineato il consigliere) che negli ‘alimenti rigenerati, prelevati al momento dell’allestimento dei vassoi destinati ai degenti’. Il direttore generale di ASUGI Poggiana parla di dati vecchi quando la stessa Università ha proseguito nelle analisi trovando valori analoghi, mentre Serenissima sostiene che il modello ‘cook and chill’, adottato integralmente dal 1° settembre, risolverà la questione, quando invece la relazione riguarda proprio questa tecnica di preparazione”.
“Fin dalla scorsa legislatura – ha proseguito l’esponente pentastellato – ci battiamo per adottare il modello ‘fresco/caldo’, con preparazione dei pasti lo stesso giorno all’interno degli ospedali o in luoghi vicini, recependo gli standard qualitativi nazionali ed europei sulla qualità e la sostenibilità ambientale e sociale. In attesa del bando annunciato dall’assessore Riccardi in risposta a un mia recente interrogazione, ci auguriamo che vengano prese in considerazione le nostre richieste di una filiera regionale con prodotti locali freschi e che si tenga conto dello studio commissionato dalla Regione nel 2015 alla Fondazione Scuola Nazionale Servizi, nel quale viene considerato preferibile il sistema fresco/caldo sia in termini di costi che di qualità. In questo modo si garantirebbe un’alimentazione adeguata ai degenti e agli operatori, favorendo le aziende del territorio per un appalto che vale decine di milioni di euro, con la possibilità di migliori controlli grazie a una produzione dei pasti effettuata in Friuli Venezia Giulia”.
“La questione interessa l’intera regione, in quanto questa modalità di preparazione riguarda gli ospedali di Trieste, tra cui anche un ospedale pediatrico come il Burlo, ma anche il Santa Maria della Misericordia e il Gervasutta di Udine e il nosocomio di Cividale – ha sottolineato il consigliere Cristian Sergo -. L’obiettivo di favorire le produzioni locali si interseca con un’altra mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle, che sarà discussa a fine mese e che chiede alla Giunta di agire in maniera sinergica in vari settori, a partire ad esempio da quello turistico, per dare impulso alle imprese del Friuli Venezia Giulia e, di conseguenza, garantire maggiore occupazione”.
Presenti alla conferenza stampa anche i rappresentanti dei sindacati. Secondo Andrea Blau (Fisascat Cisl) “occorre ripensare alla questione appalti, non tenendo conto soltanto del risparmio. Se non si persegue anche una finalità etica, si finisce per penalizzare sia i lavoratori che gli utenti, favorendo il degrado dei servizi appaltati”. Fabio Pototschnig (Fials) si è detto “favorevole a una reinternalizzazione del servizio di produzione e distribuzione dei pasti negli ospedali. Così facendo, si otterrebbe un miglioramento della qualità del cibo per pazienti e operatori, senza necessariamente aumentare i costi”.