A seguito della valutazione positiva espressa dalla Terza Commissione consigliare della Regione Friuli Venezia Giulia sul nuovo Piano dell’Emergenza-Urgenza sanitaria, il MoVimento 5 Stelle vuole prendere le distanze in modo netto da quella che reputa una riforma che non solo non risponde in modo adeguato agli standard nazionali ma impone un costo aggiuntivo alla collettività senza riuscire ad assicurare i servizi minimi, in termini di qualità e di tempestività degli interventi, a tutti i cittadini della regione.
Le maggiori criticità riguardano soprattutto il soccorso notturno (montano e non) e quello avanzato, cioè quello erogato da un’equipe medico-infermieristica specialistica, che sarà offerto solo in determinate aree e circostanze, andando quindi a creare coperture sanitarie in emergenza-urgenza a “macchia di leopardo”. Concetto questo che stride in modo particolare con la norma costituzionale che prevede una sanità uguale per tutti. Ci saranno quindi cittadini di serie A e cittadini di serie B. Situazione questa non solo non accettabile ma che il M5S, proponendo un piano dell’emergenza urgenza alternativo, ha fortemente cercato di eliminare non ricevendo però la dovuta attenzione da parte della maggioranza.
Disattendere la normativa in materia di soccorso avanzato e giocare sulla terminologia, non prevedendo ambulanze con il medico a bordo ma solamente ambulanze “medicalizzabili”, per individuare la dotazione di personale e mezzi, non solo mette in pericolo l’adeguatezza del soccorso ai cittadini ma pone interrogativi sulla competenza e sulle finalità di chi ha presentato questo piano che, perseguendo logiche di autoreferenzialità e di bassa levatura sia scientifica che strategica, ci sembra più attento al risparmio e alle logiche di potere che ai diritti dei cittadini.
La tanto sbandierata territorializzazione del paziente affetto da patologie croniche, punto nevralgico della Riforma Sanitaria Regionale, trova un’evidente contraddizione nella riforma dell’emergenza-urgenza che la giunta Serracchiani si appresta a varare. Il 60% delle richieste di soccorso che oggi pervengono alle centrali operative del 118 riguardano i cosiddetti codici bianchi e verdi, ovvero richieste non urgenti che dovrebbero sostanzialmente essere trattate, in una grossa percentuale, a livello territoriale e che invece vanno a intasare le sedi di Pronto Soccorso. In questo modo l’iperafflusso nei Pronto Soccorso contribuisce alla possibilità di errore e al rischio di eventi avversi per utenti ed operatori. Il tutto, tra l’altro, aumentando decisamente i costi di una sanità che già richiede notevoli risorse.
Demedicalizzando il sistema rispetto agli standard richiesti, dando responsabilità non consone agli infermieri dell’emergenza, aumentando il numero di ambulanze con soli soccorritori (non professionisti) al posto di quelle con gli infermieri, si dà un’evidente spinta all’ospedalizzazione piuttosto che alla gestione territoriale.
Evidentemente congestionare i Pronto Soccorso diventa utile ma per chi? La proposta che come M5S abbiamo presentato all’Assessore e alla Commissione, prevedeva un volano positivo per la gestione territoriale dei pazienti cronici e riacutizzati allo scopo di ridurre, in associazione con il Medico di Medicina Generale e ai distretti, i ricoveri impropri con tutto ciò che ne consegue in termini di riduzione del rischio e di spese non giustificabili.
Su questi nodi nevralgici ma anche su altri piani di valutazione, come per esempio il non adeguato inquadramento delle competenze degli attori (professionisti e volontari) del sistema dell’emergenza, le basi friabili su cui poggia l’estensione del servizio di elisoccorso e la non adeguatezza dei punti di primo intervento previsti, si fonda il parere negativo del M5S.
Unica nota positiva il mantenimento, per quanto provvisorio, dell’ambulanza a Grado, che però non risolleva la sorte di un territorio Isontino che esce comunque penalizzato a causa del taglio dell’automedica a Monfalcone.
Questa classe politica è espressione di un modo di gestire la cosa pubblica con logiche distanti dal cittadino e dai suoi fabbisogni, e ancora una volta a farne le spese, in termini di disservizio e aumento del rischio, saranno gli utenti e il personale sanitario operante nella quotidianità.